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Maggiolini A. (2014). Il lavoro psicoanalitico con gli adolescenti antisociali.

 Nel suo intervento al seminario psicoanalitico “Senza paura, senza pietà. Lavorare psicoanaliticamente con adolescenti violenti e deprivati”, che si è svolto il 13 dicembre 2014, nella Sala del Giardino d’Inverno dell’Ist. Montedomini, Alfio Maggiolini ha illustrato l’utilità della prospettiva psicoanalitica per comprendere e aiutare gli adolescenti antisociali.

Come egli dice nell’Introduzione al libro recentemente pubblicato da Cortina,

“L’individuazione del senso soggettivo e comunicativo del comportamento è la premessa indispensabile per una risposta efficace. < … > La nostra prospettiva è psicoanalitica ed evolutiva, perché ricerca il significato del comportamento nelle motivazioni dell’adolescente, interpretandolo come un modo, normalmente disfunzionale, per tentare di realizzare i propri compiti evolutivi. Riteniamo che una prospettiva psicoanalitica non solo sia indispensabile per la comprensione del comportamento antisociale, ma che sia anche un’utile base per il trattamento”.

Alfio Maggiolini coordina l’equipe di ricerca e intervento sui comportamenti trasgressivi e antisociali nell’Associazione “Minotauro“, dove è anche Direttore della Scuola di specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica dell’Adolescenza e del Giovane Adulto.

Collabora con i Servizi della Giustizia minorile della Lombardia ed è docente di Psicologia del ciclo di vita presso l’Università di Milano-Bicocca.

Ha recentemente pubblicato presso l’editore Cortina “Senza paura, senza pietà“, di cui pubblichiamo l’introduzione per gentile concessione della Casa Editrice.

 

Alfio Maggiolini

INTRODUZIONE

 

I comportamenti trasgressivi e antisociali degli adolescenti sono una grande fonte di preoccupazione per genitori, insegnanti, educatori, assistenti sociali e magistrati. La risposta degli adulti a questi comportamenti è spesso allarmata, a volte condizionata da pregiudizi e facilmente tentata da reazioni repressive: una soluzione che, tuttavia, non solo è inefficace, ma può essere controproducente. Anche l’intervento psicoterapeutico nei confronti di adolescenti che agiscono il loro disagio attraverso comportamenti sregolati è particolarmente frustrante. È difficile, infatti, proporre un aiuto a giovani non motivati a riceverlo, che normalmente esibiscono atteggiamenti oppositivi e una generale diffidenza nei confronti di ogni adulto e di ogni istituzione.

Le recenti ricerche sulla personalità antisociale e psicopatica, in particolare in ambito evolutivo e neuropsicologico, consentono oggi una nuova comprensione dei fattori di rischio, individuali, familiari e sociali, che sono alla base dei disturbi di comportamento. Sulla base di queste nuove conoscenze è possibile impostare un intervento efficace, in grado di sconfiggere il pessimismo degli scorsi decenni.

Questo volume presenta riflessioni teoriche e indicazioni operative per la valutazione e il trattamento psicologico degli adolescenti antisociali, frutto di diverse esperienze di ricerca, prevenzione e trattamento. Da più di vent’anni, a Milano, all’interno del Minotauro, un gruppo di psicoterapeuti si dedica all’intervento clinico con gli adolescenti trasgressivi e in conflitto con la legge. L’attività del Minotauro, fondato da Franco Fornari e sviluppatosi negli anni in particolare grazie al contributo di Gustavo Pietropolli Charmet, ha sempre privilegiato un modello psicoanalitico evolutivo, aperto alla collaborazione interprofessionale e all’intervento sul contesto familiare e nelle istituzioni. Negli anni, il gruppo che si è occupato in particolare di adolescenza e giustizia ha svolto con continuità un’attività di consulenza per i Servizi della giustizia minorile della Lombardia, collaborando con l’Istituto penale minorile, con l’Ufficio di servizio sociale per i minorenni e con il Centro di prima accoglienza. Grazie a diversi finanziamenti – della Regione Lombardia, del Comune di Milano con la L. 285, della Fondazione Cariplo e della Fondazione Vodafone, e più recentemente dell’ASL di Milano – in questi decenni sono stati realizzati diversi progetti innovativi: dall’intervento con i preadolescenti denunciati a quello con i giovani adulti in carcere, al supporto ai minori inseriti in comunità di pronto intervento e di accoglienza, alla psicoterapia di adolescenti sottoposti alla misura della messa alla prova (Maggiolini, 2002; Maggiolini, Riva, 2003).

Questi progetti ci hanno consentito di raccogliere una grande mole di dati e di incontrare centinaia di preadolescenti, adolescenti e giovani adulti, italiani e stranieri, in conflitto con le norme sociali. L’impostazione metodologica di questi interventi ha favorito anche l’incontro, per quanto possibile, con i loro genitori, spesso disorientati dal comportamento trasgressivo o violento dei figli. In questi anni, inoltre, abbiamo avuto occasione di collaborare con diversi operatori – giudici, avvocati, assistenti sociali, agenti di polizia penitenziaria, educatori, insegnanti – e con diverse istituzioni – il Tribunale e i Servizi della giustizia minorile, scuole medie inferiori e superiori, servizi territoriali, centri diurni e comunità di accoglienza. Queste esperienze ci hanno portato a ritenere che una prospettiva psicoanalitica ed evolutiva, attenta alla relazione tra comportamento antisociale e compiti di sviluppo nonché alla ricerca del significato soggettivo del comportamento, sia indispensabile perché gli adulti rispondano in modo adeguato alla domanda implicita nel gesto trasgressivo. È fondamentale, infatti, non limitarsi a neutralizzare un comportamento, ma se si vuole rimuoverne, per quanto possibile, le cause occorre confrontarsi con le intenzioni soggettive, spesso inconsce, che lo hanno motivato.

Una corretta valutazione è la base indispensabile di un efficace intervento, di tipo psicologico, sociale, educativo o penale. Una violazione di norme o leggi può essere l’espressione di una crisi evolutiva adolescenziale o l’esito di uno squilibrio mentale, come nei casi di breakdown psicotico o di crollo emotivo, come nelle situazioni in cui un eccesso di controllo di tipo ossessivo può portare a esplosioni di rabbia. In altri casi, invece, è la manifestazione di problemi derivanti dall’uso di sostanze o di stili di personalità narcisistica o paranoide; in altri ancora, è espressione di una vera e propria tendenza antisociale, caratterizzata da ripetute violazioni di norme, impulsività, mancanza di freni etici e di un senso di legame sociale. È di questi casi che ci occupiamo in questo libro.

Chi sono questi adolescenti? Sono malati o semplicemente cattivi? In realtà sono prima di tutto adolescenti che faticano a costruire un’identità sociale, a sentire di avere un valore e di poter determinare il proprio futuro. Sono giovani, per lo più maschi, che spesso a partire dal loro ingresso nella pubertà mettono in atto comportamenti trasgressivi e anche violenti, nell’illusione che questo li aiuti a diventare adulti. Questi comportamenti, oltre a danneggiare gli altri, sono pericolosi prima di tutto per chi li mette in atto, perché spesso ne mettono a rischio la salute, fisica o psichica, impedendo l’acquisizione di una positiva identità sociale.

Come si diventa adolescenti antisociali? Molti di questi adolescenti sono stati bambini con problemi di comportamento fin dalla prima infanzia, altri hanno iniziato a manifestare disturbi a partire dalla pubertà, dopo essere stati bambini tranquilli. Il comportamento dirompente ètra le categorie diagnostiche più frequentemente valutate nei servizi per l’età evolutiva: un problema, quindi, particolarmente diffuso, che interessa molti operatori dei servizi nel loro lavoro quotidiano. La scuola media inferiore e quella superiore, ma spesso già la scuola elementare, sono particolarmente interessate alla gestione dei problemi di disciplina, una delle maggiori preoccupazioni di insegnanti e presidi, frequentemente all’origine di interruzioni o abbandoni del percorso scolastico.

I comportamenti antisociali degli adolescenti, quando ripetuti, possono essere espressione di una vera e propria tendenza antisociale, un modo più o meno stabile di relazionarsi con gli altri, di rispondere ai propri bisogni e di realizzare i compiti evolutivi. Quando questa tendenza si stabilizza come tratto di personalità, può essere classificata come un disturbo antisociale di personalità, in cui la violazione dei diritti degli altri e delle regole sociali è sistematica.

Non tutti gli adolescenti antisociali commettono reati, ma c’è una stretta relazione tra la tendenza trasgressiva degli adolescenti e i reati minorili. Anche se non tutti i reati sono espressione di antisocialità e non tutti i ragazzi trasgressivi hanno una carriera delinquenziale, la maggior parte dei reati è comunque commessa da minori con una personalità antisociale. La comprensione delle cause dell’antisocialità può quindi essere utile a definire un’adeguata risposta sociale e penale alla delinquenza minorile.

Interpretare il comportamento antisociale è una sfida impegnativa, perché richiede di prestare attenzione non solo agli aspetti psicologici e psicopatologici, ma anche a una complessità di fattori: genetici, ambientali, culturali. D’altra parte, solo un’adeguata comprensione di questa complessità può consentire di sperare in un trattamento efficace.

Quale intervento è possibile con questi adolescenti? Spesso gli operatori – psicologi, assistenti sociali, educatori o magistrati – si sentono frustrati a causa della scarsità dei risultati, a fronte di un grande dispendio di energie. D’altra parte c’è chi teme che un intervento psicosociale possa assumere in modo più o meno esplicito le funzioni di controllo sociale del disagio giovanile, un modo per soffocare un sintomo, più che per risolvere un problema. Qualcuno pensa, infatti, che un atteggiamento orientato a indagare i problemi psicologici di questi adolescenti possa mettere in ombra il disagio sociale che ne è alla base e corra quindi il rischio di ridursi a un mero etichettamento, un marchio di Caino che, fissando l’adolescente nell’identità di delinquente, ne favorisca il percorso deviante, invece di contrastarlo. I dati delle recenti ricerche sulle ragioni genetiche e sulla basi neuropsicologiche dell’antisocialità riattivano lo spettro del ritorno a un approccio lombrosiano, la ratifica di un destino più che la base di un intervento. I limiti di questo approccio, d’altra parte, sono evidenziati dal crescente numero di adolescenti immigrati con problemi di comportamento, per i quali il peso del conte- sto sociale è innegabile.

Noi riteniamo che una prospettiva psicologica e, più specificamente, psicoanalitica sia fondamentale per interpretare per riconoscere l’appello che il comportamento antisociale rivolge agli adulti. L’individuazione del senso soggettivo e comunicativo del comportamento è la premessa indispensabile per una risposta efficace. Mentre fino a qualche decennio fa c’era un diffuso pessimismo sull’utilità di un intervento psicosociale e psicoterapeutico con gli adolescenti antisociali, oggi è possibile contare su nuove conoscenze e su incoraggianti risultati di interventi sperimentali, che indicano la via per un intervento efficace. La nostra prospettiva è psicoanalitica ed evolutiva, perché ricerca il significato del comportamento nelle motivazioni dell’adolescente, interpretandolo come un mo- do, normalmente disfunzionale, per tentare di realizzare i propri compiti evolutivi. Riteniamo che una prospettiva psicoanalitica non solo sia indispensabile per la comprensione del comportamento antisociale, ma che sia anche un’utile base per il trattamento.

La difficoltà a trattare gli adolescenti antisociali è in parte l’espressione di una parallela e più generale difficoltà a trattare gli adolescenti e la loro tendenza ad agire. In Italia la psicoanalisi dell’adolescenza è nata proprio all’interno degli interventi con gli adolescenti antisociali sottoposti a procedimenti penali. Il primo nucleo di professionisti che, negli anni Sessanta, sentì l’esigenza di una specifica competenza in psicologia, psicopatologia e psicoterapia dell’adolescenza era composto proprio da psicoanalisti che lavoravano nei Gabinetti medico-psicopedagogici distrettuali, che avevano introdotto psichiatri e psicologi come consulenti negli Istituti di osservazione e nelle Case di rieducazione per i minori delinquenti (Novelletto, 1986; Aliprandi, Pelanda, Senise, 1990). In realtà, l’attenzione agli adolescenti devianti fa parte della storia originaria della psicoanalisi. Aichorn (1925), educatore formato alla psicoanalisi, riteneva che la psicoanalisi potesse essere soprattutto un ottimo strumento di comprensione del significato di un gesto deviante, che lasciasse poi il campo d’intervento a operatori sociali e educativi. Zulliger (Zulliger, Bianchini, 1930) usava il termine di pedoanalisi per indicare un intervento educativo orientato in senso psicoanalitico.

Il confronto tra una lettura psicologica e una sociologica o biologica dell’antisocialità minorile non è solo una questione teorica, ma ha importanti conseguenze istituzionali. Novelletto (1986) racconta il dibattito di qualche decennio fa tra gli psicologi a orientamento psicoanalitico e i sostenitori di un orientamento sociologico. L’approccio sociologico, alla fine, uscì vittorioso, portando a disperdersi il gruppo di psicologi e psicoanalisti che lavoravano come consulenti dei Servizi della giustizia minorile e lasciando spazio a operatori socioeducativi. Anche la prospettiva antipsichiatrica degli anni Sessanta aveva contribuito all’accettazione di un’interpretazione sociologica dell’antisocialità.

La questione dell’intervento psicologico sui minori che entrano nel circuito penale ha avuto un nuovo sviluppo in Italia, a seguito del recente decentramento della medicina penitenziaria dei minori e degli adulti dalle dipendenze del ministero della Giustizia ai servizi sanitari locali. Questo passaggio rinnova il problema dell’integrazione fra intervento sociosanitario e penale. Da una parte c’è chi ritiene che una particolare attenzione agli aspetti psicopatologici rischi una deriva psichiatrizzante, con una medicina e una psicologia che si pongono al servizio del controllo sociale, sostituendo la costrizione del corpo con quella della mente, le mura del carcere con la sedazione psicofarmacologica. Questo timore porta a tenere ben separati l’ambito dell’intervento penale da quello sanitario, la punizione e la restrizione della libertà dalla cura della malattia.

Il modello evolutivo presentato in questo libro scommette, invece, sulla possibile integrazione tra gli obiettivi sociali e penali e il supporto psicologico all’adolescente e alla sua famiglia. Il contributo di psicoanalisti come Senise, Novelletto, Pietropolli Charmet e di psicologi come De Leo, ha consentito di creare una cultura particolarmente attenta al significato del comportamento dell’adolescente, evitando ogni facile sociologismo, senza cadere, all’opposto, nella psichiatrizzazione del comportamento trasgressivo.

La comprensione del senso evolutivo del comportamento antisociale dell’adolescente è alla base di un modello innovativo del trattamento penale, in sintonia con l’orientamento del sistema penale minorile italiano, attento a favorire la ripresa evolutiva e la responsabilizzazione dell’adolescente autore di reato. Il carcere minorile di Milano è intitolato a Cesare Beccaria (1738-1794), che, contro la tortura e la pena di morte, scrisse Dei delitti e delle pene (1764), a favore del proporzionalismo della pena e della sua funzione rieducativa. Oggi è importante che l’incontro con gli adolescenti antisociali e le loro famiglie non si riduca né a un controllo sociale del comportamento né a una psicopatologizzazione. Incontrare l’adolescente è prima di tutto ascoltare e interpretare il suo racconto, per scoprire i bisogni che sono alla base del suo comportamento e per capire il modo in cui gli adulti possono aiutarlo a costruire un’identità sociale e a proseguire nel suo percorso di sviluppo.

 

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