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Martinetti M.G & Landi N. (2009). Quale mappa e quale bussola?

5 Gennaio 2009

RIFLETTENDO SULLO SCOMPENSO PSICHICO ADOLESCENZIALE : QUALE MAPPA E QUALE BUSSOLA?

Riflettendo sullo scompenso psichico adolescenziale: quale mappa e quale bussola?

Martinetti Maria Grazia*, Landi Nerina**

Nel panorama della salute mentale in età evolutiva dati statistici rilevano come circa il 10% della popolazione che afferisce al SSn per problematiche neuropsichiatriche richieda interventi di ricovero specialistico (gran parte è costituito da gravi crisi adolescenziali Levi, 2009). Vengono riportati alcune riflessioni emerse in un continuativo lavoro clinico e terapeutico con adolescenti in scompenso psichico che hanno richiesto, per le condizioni individuali e ambientali, una presa in carico attraverso format diversi (dall’eventuale accesso al pronto soccorso all’ambulatorio acuti, al ricovero e al trattamento terapeutico riabilitativo), con trattamento integrato interdisciplinare fra il servizio universitario-ospedaliero (SOD di Neuropsichiatria Infantile dell’Azienda Universitaria Ospedaliera di Careggi) e quello territoriale (UFSMIA – Azienda 10), collocati nell’Area Vasta Centro della Regione Toscana, condividendo il progetto terapeutico in tutto il suo percorso, con il supporto della formazione psicoanalitica e psicoterapeutica nei differenti momenti di riflessione, aggiornamenti e formazione comune che hanno scandito gli ultimi anni.

Nella definizione dello scompenso psichico adolescenziale si intrecciano spinte evolutive con aspetti psicopatologici, elementi di criticità per il riassestamento adolescenziale in corso, sia intrapsichico in termini di coesione e strutturazione del Sé, sia relativo ai legami relazionali (familiari, gruppo dei pari): aspetti questi che determinano, assieme alle modificazioni fisiche, neurobiologiche con i corrispettivi della maturazione sessuale, cognitiva e dell’immagine corporea nel suo insieme, una miscela potenzialmente esplosiva. Si può evidenziare così uno stato di scompenso psichico che è stato delineato, in una sintesi descrittiva, come: ”emergenza di situazioni con un carattere esplicitamente relazionale, che hanno radici nel funzionamento di tutto il nucleo (familiare o istituzionale), ma nelle quali è il paziente a sperimentare la sensazione soggettiva acuta di rottura dell’equilibrio emotivo e di impasse nelle proprie capacità di adattamento”.1 Sintesi appunto descrittiva che sembra precludere la possibilità di comprensione dei processi mentali in atto.

Scompenso e diagnosi. Dal momento che la comprensione dei processi in atto risulta fondamentale per l’aderenza del progetto terapeutico, ci chiediamo quali siano i riferimenti che ci permettono di muoverci in questo accidentato territorio.

Ci sembra che valga ancor di più quanto affermato da Lingiardi 2(2009), di come per l’età evolutiva e in particolare in adolescenza un approccio dimensionale diagnostico centrato su una valutazione del profilo di personalità e del funzionamento mentale in fieri possa rappresentare un elemento valutativo importante che integra un primo approccio sintomatico categoriale (DSM IV TR, ICD IX): è possibile calare tali aspetti di valutazione “evolutiva” e dell’emergente personalità, nelle situazioni di crisi emozionale – scompenso psichico? E in che misura è possibile costruire un modello metodologico che si configuri come incisivo e terapeutico rispetto al funzionamento psicopatologico, strutturale e relazionale dell’adolescente in crisi? E soprattutto come comprendere in questo anche il contesto “sociale” (familiare sociale socio-sanitario…).

* Prof.Associato Neuropsichiatria Infantile Università Degli studi di Firenze, Psicoanalista SPI

** Neuropsichitra Infantile, Dirigente I livello ASL 10, Firenze, Psicoterapeuta età evolutiva Associazione Martha Harris Psicoterapia Psicoanalitica Infanzia Adolescenza (AMHPPIA).

1 Casacchia M., Sconci V.1990 Urgenza, emergenza e crisi in psichiatria. In: Casacchia M,eds, Urgenze in psichiatria: Milano, Masson

2 Lingiardi V. 2009. Quale diagnosi di personalità in adolescenza? Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza,76,127-145

La riflessione parte dalla necessità di tracciare una mappa di riferimento diagnostico che permetta una conoscenza multidimensionale e che consideri la potenzialità evolutiva dei movimenti che caratterizzano la forma identitaria “liquida”, propria dell’adolescente, anche nella criticità dello scompenso. Lo scompenso si pone quindi come diagnosi funzionale a livello della comprensione psicopatologia dei meccanismi di difesa e degli aspetti strutturali (O.F.Kernberg 19843), dei criteri di sviluppo che orientano il progetto di trattamento a seconda dello scacco del processo adolescenziale (Cahn R. 1998, Ladame F. 2001, Laufer 19844), e dell’iscrizione dell’emergenza sintomatica nella “persona” adolescente (Western, Gabbard, Blagov 20065). La possibilità di utilizzare la griglia valutativa del Manuale Diagnostico Psicodinamico, assieme all’inquadramento sindromico, sembra offrire uno strumento sensibile a delineare aspetti emergenti del black out dei processi di mentalizzazione, nel mentre si rilevano tratti di personalità emergente, spesso distorti o sommersi durante lo scompenso. Particolare attenzione è rivolta al contemporaneo scompenso della funzione genitoriale dove risulta per i genitori impraticabile la funzione di rispecchiamento del figlio attuale, sentito come alieno ed estraneo, minando la capacità di rappresentazione integrata del proprio figlio.

Gli inquadramenti categoriali prevalentemente descrittivi, rilevano, nel polimorfismo sintomatico dello scompenso (disturbi della condotta, attacchi di panico, somatizzazioni acute, disturbi del pensiero, stati dissociativi, condotte agite, disturbi dell’umore), la prevalenza di raggruppamenti sindromici, che individuano differenti fasce di gravità nell’ottica del venir meno della tutela da parte del ragazzo e dell’ambiente e della necessità di offrire un ripristino di questa a livello dell’organizzazione dei servizi.

Utilizzando questa cornice di riferimento l’intervento viene orientato verso due dimensioni differenziate ma intrecciate:

una dimensione clinica, rappresentata dalla comparsa a volte improvvisa di gravi sintomi di aggressività o distruttività, stati psicotici acuti, stati ansiosi e/o di attacchi di panico, stati dissociativi e/o derealizzazione anche a seguito di abuso di sostanze, suicidarietà;

una dimensione ambientale, rappresentata sia dall’incapacità dell’ambiente di gestire i comportamenti dell’adolescente che dall’assenza o inadeguatezza delle risorse della comunità e dei servizi nell’intercettare, prevenire o prendersi carico della situazione prima che la gravità del disturbo assuma la caratteristica di acuzie psichiatrica

la definizione di emergenza passa per la convergenza tra la condizione clinica del paz e l’efficienza della risposta della rete sanitaria di prevenzione e assistenza E’ in quest’ottica che ritroviamo classificazioni di fasce di gravità dello scompenso principalmente inerenti fattori di rischio legati alla dirompenza e al venir meno della possibilità di aver cura di sé (tutela), con la necessità di ripristinare un ambiente tutelante, mentre rimangono in ombra gli aspetti psicopatologici e le risorse in gioco, come nella classificazione recentemente proposta6 (Calderoni D.,Ferrara M., Sarti M., Nardocci F. 2008):

classe 1 emergenze che mettono a repentaglio la vita del paz. (comportamento suicidario e omicida, allucinazioni, deliri, stati dissociativi o di derealizzazione, intossicazione da sostanze);

classe 2 stati acuti che necessitano di un intervento urgente (attacchi di panico, comportamento violento o aggressivo, stati di shock post traumatico;

classe 3 condizioni che richiedono un rapido ma non necessariamente immediato intervento psichiatrico (minacce suicidarie verbali, stati ansiosi non acuti, bambino o adolescente difficile da gestire ma non pericoloso per sé o per gli altri);

classe 4 situazioni in cui l’intervento psichiatrico potrebbe essere meglio gestito in ambulatorio o viene richiesto in modo improprio (da parte di un altro sanitario o dalle autorità di pubblica sicurezza, spesso per cronico comportamento antisociale, carenza di servizi territoriali).

3 Kernberg O (1984) Disturbi gravi della personalità. Tr.It Torino, Bollati Boringhieri 1957.

4 R.Cahn 1998, L’adolescente nella psicoanalisi.Tr.it Borla, Roma, 2000; F.Ladame,M.Perret-Catipovic Il setting con l’adolescente. Seminari romani con Ladame F e Perret-Catipovic M. Adolescenza e Psicoanalisi,II,2,2001; M. Laufer e M.E. Laufer (1984), Adolescenza e breakdown evolutivo.Tr.it Boringhieri, Torino, 1986.

5 Western D., Gabbard GO, Blagov P (2006) Ritorno al futuro: la struttura di personalità come contesto per la psicopatologia. In: N.Dazzi, V. Lingiardi, F.Gazzillo (a cura di) La diagnosi in psicologia clinica: personalità e psicopatologia (pp.87-122). Milano, Raffaello Cortina, 2009.

6 Calderoni D.,Ferrara M.,Sarti M.I.,Nardocci F. “More with less”: minori e ricovero psichiatrico. Gior Neuropsich Età Evol 2008:28:149-166

Questo tipo di inquadramento tace sui processi mentali in atto, soprattutto sui movimenti dinamici possibili, sia di rinforzo psicopatologico, che di riavvio di processi evolutivi. L’estremo polimorfismo sintomatico che caratterizza lo scompenso e la notevole fluttuazione sintomatologica che osserviamo rende comunque necessario integrare un primo approccio sintomatico categoriale, utilizzando una diagnosi dimensionale centrata su una valutazione di tratti emergenti della personalità e del funzionamento mentale in fieri, dove nello scompenso risultano compromessi (Stolorow e Lachmann):

la coesione strutturale – compaiono sentimenti di depressione, devitalizzazione, angosce di frammentazione

la stabilità temporale – la capacità di avvertire la propria stabilità e coesione, nonostante i cambiamenti impressi dalle circostanze e quelli fisici e affettivi propri dell’età evolutiva e dell’adolescenza

la coloritura affettiva – da cui dipende l’autostima e la modulazione emotiva delle esperienze intrapsichiche e relazionali

Con questi strumenti concettuali permane comunque la difficoltà di orientare il trattamento, essendo spesso difficile osservare, nel periodo stesso dello scompenso, la direzione evolutiva, dal momento che mancano fattori predittivi attendibili dell’evoluzione e degli esiti, quando il periodo acuto e l’aspetto di dirompenza si sia risolto. Nel tentativo di gettare uno sguardo nelle possibili direzioni evolutive dello scompenso, differenti autori propongono una valutazione fondata sul criterio dello sviluppo7, legata alla presenza di competenze che permettano di affrontare il processo adolescenziale stesso, in cui si evidenziano vettori di possibili evoluzioni La forma che assume la crisi, e quindi la sua evoluzione, sono osservate non tanto in termini sintomatici (presenza, incidenza, scomparsa dei sintomi), ma relativamente allo scacco del processo adolescenziale e ai meccanismi di difesa messi in atto nel tentativo di trovare equilibri meno instabili. In questo senso, se l’ingresso è la crisi o scompenso con le caratteristiche che li identificano e differenziano, il vettore che segnala la direzione della riorganizzazione in uscita potrà indicare movimenti diversi: a) potenzialmente evolutivo se il livello di funzionamento nel tentativo di fronteggiare la crisi mostrerà l’emergere di competenze che permettano una progressione del processo adolescenziale, non dipendente solo da migliori capacità adattive; b) situazione di stallo, nel tentativo di mettere in moratoria le spinte adolescenziali, sospendendo il confronto con i compiti evolutivi, negando l’evidenza delle modificazioni in gioco; c) posizione regressiva quando il funzionamento si riorganizza a un precedente livello di sviluppo, dove viene meno il dover affrontare le problematiche adolescenziali. Spesso l’adolescente sembra oscillare fra la posizione di moratoria e la regressione, senza individuare percorsi alternativi. Questa interessante ottica richiede d’altronde il tempo della cura, e non contribuisce quindi alla tempestività della risposta in acuto, ma costituisce una valida guida, integrando sottostanti aspetti del funzionamento mentale agli aspetti sintomatici emergenti, individuando, nel grado di impedimento della funzione riflessiva, un indicatore dei possibili movimenti in atto.

7 R.Cahn 1998, L’adolescente nella psicoanalisi.Tr.it Borla, Roma, 2000; F.Ladame,M.Perret-Catipovic Il setting con l’adolescente. Seminari romani con La dame F e Perret-Catipovic M. Adolescenza e Psicoanalisi,II,2,2001; M. Laufer e M.E. Laufer (1984), Adolescenza e breakdown evolutivo.Tr.it Boringhieri, Torino, 1986.

Questo era il bagaglio scientifico e concettuale con cui ci siamo inoltrati tante volte assieme all’adolescente, approfondendo progressivamente il legame fra funzione riflessiva e competenza di mentalizzare, complesso processo mentale, possibile elemento indicativo della destabilizzazione/scompenso e del possibile riavvio evolutivo.

Mentalizzazione8(Fonagy, Allen 20069) Il contributo di questi autori alla comprensione delle esperienze cliniche e terapeutiche portate avanti in questi anni è stato fondamentale, collocando la complessità della competenza a mentalizzare nei compiti evolutivi, mostrando sia la vulnerabilità dei processi di mentalizzazione, che la distorsione o incompetenza rispetto ad essi. In queste ricerche si è evidenziato come nel corso dello sviluppo, l’assenza di un Sé riflessivo stabile (conseguente, nello sviluppo fisiologico, alla reiterata esperienza di un rispecchiamento empatico all’interno della relazione di attaccamento), possa portare a distorsioni legate a parziale mancanza di capacità di mentalizzare: ad esempio nei b. vissuti in ambienti domestici violenti o abusanti, che, per poter anticipare o evitare il pericolo, diventano troppo attenti a decifrare gli stati mentali degli adulti, ricorrendo ad una modalità ipervigilante di mentalizzare; d’altronde anche l’attenzione estrema ai propri stati mentali può essere pervasiva, impantanado i processi mentali in ruminazioni depressive e angosciose. In patologie strutturate come i disturbi pervasivi dello sviluppo e i disturbi borderline di personalità, si individua inoltre, una vera e propria incompetenza dei processi di mentalizzazione

Pensiamo che la mentalizzazione mantenga il legame fra analisi dimensionale, analisi delle difese (criterio di sviluppo), inquadramento nosografico, comprensione dello scompenso nella storia individuale, ed analisi dei processi mentali in atto nel contemporaneo scompenso del contesto familiare; comprensione che facilita e orienta il progetto terapeutico

Proponiamo come elementi di discussione in questo complesso scenario la possibilità di tracciare una diagnosi dimensionale dell’adolescente e di tratti della personalità emergente, proprio nella situazione di scompenso psichico dove i processi di mentalizzazione mostrano un’area di cecità dinamica, che li opacizza e distorce. Analogamente potremmo analizzare quanto avviene contemporaneamente nei processi di mentalizzazione dei genitori, dove distorsioni di questi processi, conseguenti alla pressione destabilizzante dell’esperienza dello scompenso del figlio, interferiscono nel rispecchiamento, e nella rappresentazione integrante del figlio, costituendo fattori di mantenimento di circolarità dinamiche patogene. Questo prcesso diagnostico, conoscitivo e terapeutico richiede l’attivazione di un ambiente idoneo, nei differenti format in cui incontriamo l’adolescente.

Ambiente terapeutico ospedaliero. L’orientamento nell’assetto terapeutico trova cornice nel concetto di spazio psichico allargato (Jeammet 199310), dove lo strumento, a fronte dei processi di mentalizzazione (Fonagy, Allen 2006), messi in blackout o improntati da distorsione, coincide con la disponibilità del gruppo terapeutico a prefigurare, tessere e contenere processi mentali al momento impraticabili o emotivamente non sostenibili, diffusi e proiettati nel contenitore terapeutico. Questo assetto riguarda il complessivo intervento integrato che coinvolge più figure professionali (carattere multiprofessionale dell’intervento), e prevede diverse aree di intervento (area della psicoterapia individuale e/o familiare, area sociale – educativa, area psicofarmacologica, area dell’ambiente terapeutico). Occorre quindi che si attivi l’ambiente relazionale terapeutico fin dall’accoglimento nel Dipartimento Emergenza Accettazione, per rendere possibile l’avvicinamento conoscitivo, costruendo un percorso terapeutico improntato da continuità nei possibili passaggi verso format di cura diversi (ambulatoriale, ospedalizzazione, riabilitativo)

8 Allen J. 2003“Mentalizzazione come capacità di provare empatia per sé stessi”

9 Allen J.,Fonagy P. 2006 La mentalizzazione. Psicopatologia e trattamento. Tr It Il Mulino, Bologna, 2008

10 Jeammet Ph Psicopatologia dell’adolescenza Borla 1993

A fronte dello scompenso psichico adolescenziale, il modello di accoglimento e intervento terapeutico attuato dal nostro gruppo nella fase di valutazione e presa in carico del ragazzo e dei familiari, corrisponde al modello a equipe unica integrata multiprofessionale (NPI, Psicologo, Educatore, Infermiere). Il lavoro mentalizzante del gruppo permette di ridisegnare in una tridimensionalità integrante gli aspetti diffusi nei transfert multipli e di attivare la funzione di contenitore di aspetti scissi o diffusi, limitando il rischio di agiti pericolosi. Le regole di riservatezza garantiscono che la discussione su comunicazioni, azioni e reazioni avvenga nel gruppo di lavoro, così da mettere assieme gli aspetti transferali scissi e integrarli all’interno dell’equipe prima che col pz., in una crescente possibilità di comprensione di chi è l’altro/paziente, come viene a delinearsi all’interno dei rapporti terapeutici.

Il gruppo terapeutico si offre come contenimento anche per gli intensi sentimenti controtransferali in gioco: l’atmosfera è infatti satura di proiezioni che si esprimono attraverso i comportamenti agiti, gli aspetti sintomatici e le modalità relazionali che immediatamente coinvolgono gli operatori. Progressivamente questo assetto permette l’espansione o il contatto col mondo interno del ragazzo con una funzione di argine degli aspetti esplosivi, frammentati, agiti, apparentemente privi di senso, con un contemporaneo attivarsi della funzione riflessiva del gruppo, in un passaggio dall’implicito delle condotte e dei sintomi (spesso unico linguaggio possibile), all’esplicito della restituzione di immagine potenzialmente integrata che attiene ad un altro da sè pensante; funzione integrante attraverso la restituzione di significati che fanno ponte fra mondo interno e relazionale, nell’esperienza di rispecchiamento. Nel mentre si da voce ai sentimenti per altro indifferenziati delle condotte sintomatiche, segni di per sè di sofferenza, spesso veri e propri silenziatori degli autentici vissuti che la sofferenza mentale rende spesso indicibili, l’esperienza empatica e intima di essere compreso genera un’esperienza di sicurezza che favorisce l’”esplorazione mentale”.

Il terapeuta dovrà costantemente ricomporre un’immagine dinamica del paziente nella propria mente, dovrà dare un nome ai sentimenti, alle credenze implicite, essenzialmente si impegna in questo processo di rispecchiamento, facilitando i processi di integrazione e di mentalizzazione nell’altro/paziente..

La bussola della mentalizzazione e la cecità dinamica.

Vengo spesso impressionata da questo vissuto controtransferale che si è andato definendo dopo l’esperienza di una visita alla mostra-museo fotografica Alinari, dove, in alcune postazioni orizzontali, vi erano dei plastici in rilievo che corrispondevano al contenuto della fotografia esposta al muro. Sono stata sorpresa dal susseguirsi di differenti stati d’animo. Non avevo mai pensato al senso di una mostra fotografica per un cieco, “vista” recuperata attraverso la ricomposizione d’insieme di frammenti sensoriali, mentre, suppongo, una voce narrante di accompagnatore illustra il contenuto e il valore artistico della fotografia, ma iniziando da un proprio racconto, tracciato da ciò che la foto evoca in lui. Quando mi trovo nella condizione di rispecchiamento terapeutico di un ragazzo con scompenso psichico mi sento a mia volta cieca, con il contemporaneo ruolo di voce narrante, con tutta l’incertezza della inevitabile approssimazione esplorativa. Tesa a rilevare quanto, nella maniera prevalentemente implicita, non verbale, emerge dai processi dinamici in campo; l’ascolto empatico permette di entrare in contatto con tratti difensivi attivati dalla proposta relazionale e che fanno intravedere le mute angosce soggiacenti i sintomi, la pervasività di queste, ma anche i processi mentali di modalità adattive e di risorse possibili. Di grande importanza è la possibilità che aspetti frammentati, vengano successivamente integrati attraverso l’elaborazione dei differenti transfert del gruppo terapeutico: da una serie di rilevanze a una prima mappa grezza dimensionale.

Possiamo allora pensare a una cecità mentale dinamica, riferita a deficienze transitorie o parziali della capacità di mentalizzare, come aspetto tipico dello scompenso, che trova rilievo e potenziale significato nella funzione di rispecchiamento terapeutico.

La cecità mentale (mindblindness) è stata descritta in maniera incisiva da Baron Cohen 199511, relativamente all’autismo: “…immaginate che il mondo intorno a voi fosse fatto come se voi foste consapevoli delle cose fisiche, ma ciechi rispetto all’esistenza delle cose mentali: intendo dire, naturalmente, ciechi rispetto a cose come pensieri, credenze, conoscenze, desideri e intenzioni, che per noi sono sottese in modo autoevidente al comportamento. Estendete l’immaginazione fino a considerare che senso potreste dare all’azione dell’uomo…se una spiegazione mentalistica fosse per sempre aldilà dei vostri limiti.” Se nei disturbi pervasivi dello sviluppo questa incompetenza è strutturale, ritroviamo importanti aspetti di questo deficit negli aspetti psicopatologici descritti da Otto Kernberg nella diagnosi funzionale soprattutto inerente la stabile instabilità dei Disturbi Borderline di Personalità. Nel caso di personalità borderline questo difetto è per Fonagy sufficientemente stabile e riconducibile al fallimento della funzione simbolica, strettamente associato a un rispecchiamento incongruo (ambiente invalidante, inaccessibilità dell’esperienza di sentirsi contenuto).

Nella situazione di scompenso la “cecità” della mentalizzazione è dinamica, fluida, a volte selettiva, caratterizzato da instabilità, distorsioni più che incapacità, con potenzialità di ripresa a volte non immaginabili e sorprendenti a fronte della sintomatologia emergente.

Deficit che incide nella modalità di fare esperienza di sé e del mondo, dove prevale l’equivalenza psichica con il collasso della differenziazione fra interno e esterno, fantasia e realtà, simbolo e simbolizzato (mente=mondo); la modalità del far finta si sgancia dalla realtà, colui che fa finta è in un mondo immaginario.

Inoltre il blackout della capacità di mentalizzazione e di formare articolate rappresentazioni secondarie di stati interni (sentimenti, credenze, desideri, idee), determina il venir meno del senso di sé come agente: ne conseguono le fluttuazioni emozionali, le credenze contrastanti, la tendenza all’azione, minando la capacità di monitorare e interpretare correttamente gli stati mentali sulla base di quelli indizi fondamentali che costellano le relazioni intime. Il sentimento prevalente è quello di impotenza, di impossibilità di determinare un’impronta di sè nell’altro e di essere quindi compresi (non mi capirai mai..), concretizzando l’angoscia dei propri fantasmi nelle relazioni significative (è la verità, è così, vuoi abbandonarmi in ospedale), e il crollo dell’autostima.

La possibilità di descrivere gli aspetti di cecità dinamica dei processi di mentalizzazione tipici dello scompenso trova nelle categorie della griglia descrittiva del DMP una possibile lettura, indicativa delle modificazioni in atto. E’ qui che si delinea la funzione del tempo che deve garantire lo svolgimento della cura nel suo percorso anche extraospedaliero, dove la condivisione e convergenza dei riferimenti teorici e metodologici può costituire fattore protettivo.

Ci sembra di interesse poter ricercare un parallelismo tra aspetti di funzionamento mentale nello scompenso e metodologia di intervento mirata e multifocale su tali aspetti, in quanto questo ci costringe a riveder i nostri modelli teorici relativi alla necessità di aver in mente una griglia di rilettura sempre in fieri e mai statica o fossilizzata su un etichetta diagnostica, costringendoci a ridefinire tempi, modi e spazi di interventi flessibili ma coerenti con un livello profondo di comprensione del funzionamento mentale.

Nel ripensare nuove forme di percorsi di cura e presa in carico a fronte della variabilità e complessità delle nuove psicopatologie adolescenziali e delle forme di scompenso psichico che spesso le accompagnano o con cui si presentano, proponiamo alcune riflessioni sulla natura e sulla condizioni dell’assetto della presa in carico terapeutica che segue la fase acuta dello scompenso.

Nella nostra prassi operativa di presa in carico territoriale, l’assetto terapeutico viene a definirsi sulla base di un processo diagnostico che, a partire dalla diagnosi funzionale nello scompenso, si plasma nel procedere del successivo percorso e orienta la scelta degli strumenti terapeutici ritenuti di volta in volta più pertinenti.

E’ qui interessante riprendere il parallelismo tra funzionamento mentale rilevato nel momento dello scompenso acuto e la metodologia dell’intervento di presa in carico multifocale poiché ci sembra che, in entrambi i momenti, la comprensione dei pattern di funzionamento mentale dell’adolescente e della famiglia costituisca il vertice di riflessione privilegiato per individuare gli interventi più mirati e coerenti alla fase del percorso.

11 Baron Cohen 1995 Mindblindness: an essay on autism and theory of mind. Cambridge, MA, MIT press, Tr It L’autismo e la lettura della mente, Roma, Astrolabio 1997

Il processo terapeutico che accompagna lo scompenso adolescenziale si connota primariamente come intervento complesso e integrato che coinvolge più figure professionali (carattere multiprofessionale dell’intervento), e prevede diverse aree di intervento (area della psicoterapia individuale e/o familiare, area sociale – educativa, area psicofarmacologica), coerentememente al carattere gruppale della “crisi” che definisce lo scompenso stesso, e alla perdita per l’adolescente dei consueti riferimenti ambientali e sociali.

Nella letteratura è ampiamente riconosciuta l’importanza del coinvolgimento dell’ambiente esterno nel percorso di cura dell’adolescente; qui ci riferiamo principalmente al concetto di “spazio psichico allargato” di Jeammet 12(1993), per definire lo spazio costituito da coloro (persone, luoghi, gruppi), ai quali l’adolescente affida inconsciamente le proprie istanze psichiche nei diversi momenti della sua storia.

In relazione a questo, riprendiamo il concetto di “sito analitico allargato” di Monniello 13(2003), che raffigura quell’azione terapeutica dell’ambiente istituzionale che svolge una funzione di contenimento e una funzione terza (sia per il paziente che per il gruppo di operatori), e che si realizza con la partecipazione di tutti i curanti allo sviluppo della vita psichica dell’adolescente attraverso azioni e strategie terapeutiche specifiche e individualizzate.

Nel modello di intervento integrato che proponiamo sottolineiamo l’importanza che l’avvio del processo di presa in carico terapeutica preveda un primo momento di simultanea accoglienza sia del figlio che dei genitori ad opera di un’unica figura professionale e che la “regia” rimanga a lungo centrata su questo unico operatore. In questa figura si colloca infatti la fondamentale funzione di coordinamento e integrazione dei vari presidi terapeutici che di volta in volta verranno attivati con il dipanarsi della presa in carico secondo un criterio di coerenza e coesione del trattamento globale.

Comune matrice teorica che unifica la diverse aree di intervento la riconosciamo nel modello della mentalizzazione; infatti nello scompenso psichico la funzione riflessiva (come teorizzata da Fonagy e Target e in quanto indice della competenza a mentalizzare), risulta sempre compromessa e i processi di mentalizzazione gravemente impoveriti o distorti.

Tale concettualizzazione ci sembra trovare peculiari risonanze nelle principali aree di intervento del percorso di presa in carico così individuate :

area psicoterapia individuale;

area di intervento educativo, sia come intervento educativo individuale che come intervento realizzato in centri diurni e comunità terapeutiche. Nei percorsi di presa in carico l’intervento educativo individuale è sempre uno dei primi ad essere attivato nell’obiettivo di realizzare una prima matrice interazionale di attaccamento tra educatore e adolescente e di realizzare su questa base una possibile attivazione dei processi di mentalizzazione. Parallelamente l’intervento in struttura comunitaria rappresenta l’esperienza dove più facilmente può costruirsi la dimensione di spazio psichico allargato prima ricordata;

intervento con i genitori (ricordiamo brevemente come lo scompenso dell’adolescente si accompagna sempre allo scompenso della funzione genitoriale con il crollo della capacità mentalizzante dei genitori);

d) intervento psicofarmacologico.

12 Jeammet Ph Psicopatologia dell’adolescenza, Borla, 1993

13 Monniello G.L.Luoghi istituzionali e adolescenza, Borla, 2005

Il processo terapeutico riconosce in ognuna di queste aree un principale e comune obiettivo: favorire nell’adolescente l’emergenza o la ripresa della competenza alla mentalizzazione, secondo modalità di mentalizzazione esplicita e implicita; secondo questo modello, la modalità di mentalizzazione esplicita favorisce la narrazione e l’ampliamento esplorativo-conoscitivo e pensato dei propri sentimenti, mentre la modalità implicita favorisce la percezione riguardo a sé e agli altri. Si tratta perciò di supportare l’adolescente nella possibilità di trasformare l’“agire” il suo passato traumatico nelle relazioni in atto verso un funzionamento mentale per cui sia possibile cominciare a sentire e percepire i propri sentimenti ed arrivare a forme di rappresentazione interna più integrate e ad una capacità di esperienze interpersonali più funzionali.

Riteniamo che queste funzioni possono essere promosse solo da un intervento di molteplici operatori sintonizzati su questo assetto e che la loro sinergia e coerenza siano fondamentali per promuovere funzionamenti più integrati e adattivi.

Inoltre, la caratteristica di trasversalità di questa matrice concettuale tra tutti gli operatori coinvolti nel processo di cura favorisce la comprensione condivisa e sufficientemente sincronica dei processi osservati e di conseguenza rafforza significativamente la coesione del gruppo di lavoro.

Nella nostra esperienza di percorsi di presa in carico con questi adolescenti, alcuni aspetti della capacità di mentalizzazione ci sono sembrati di particolare interesse e utilità:

1) la cornice temporale che sottende il lento emergere o riemergere dei processi di mentalizzazione favorisce la delicata riesplorazione del passato e la prefigurazione del futuro, aspetto molto utile per la condivisione di obiettivi terapeutici.

In particolare appare significativa la possibilità di traslazione tra mindfulness e mentalizzazione laddove la mindfulness è concepita come preriflessiva, percettiva e non valutante e fa apertamente esperienza di ciò che è lì presente, il mentalizzare esplicito è un vero processo riflessivo e quindi risorsa mentale basilare. Inoltre la mindfulness è primariamente correlata alla regolazione dell’emozione, il mentalizzare esplicito è concepito come dominio della nostra razionalità e in questo senso il mentalizzare accresce il senso di agency, cioè la capacità di dare inizio ad un’azione con uno scopo (questo appare molto significativo quando l’adolescente passa da un senso di consapevolezza, centrata solo sulla dimensione temporale presente, alla possibilità di percepire il sé e il senso di sé nella continuità dell’esperienza temporale);

2) i processi di mentalizzazione si collocano tra due modalità di fare esperienza :

la modalità dell’equivalenza psichica (che si identifica con il collasso della differenziazione tra interno e esterno e fantasia e realtà) e

la modalità del far finta che si sgancia dalla realtà.

Il mentalizzare efficace implica perciò una immaginazione ancorata a terra ed è così che il mentalizzare occupa una posizione centrale nel continuum tra equivalenza psichica e far finta.

In particolare è proprio nell’ambito dell’intervento educativo che spesso si può osservare l’emergere dell’interazione tra queste due aree: l’educatore realizza con l’adolescente una funzione di rispecchiamento in cui si creano le condizioni di “riflessione condivisa” su pensieri, emozioni, vissuti, agiti del soggetto “nel mentre che l’esperienza si fa”14, così favorendo le diverse forme di integrazione mentale;

3) nei percorsi di presa in carico vediamo come i fattori che contribuiscono alle abilità di mentalizzazione (e alla loro stabilità), sono molteplici e riflettono la natura, la profondità e la precocità dei fallimenti primari di questi processi (es. condizioni di trauma nelle relazioni di attaccamento).

Il raggiungimento della capacità di mentalizzazione ci pare segnare sempre un punto qualificante del percorso di cura per il duplice valore che questo comporta:

strumentale: quando la capacità di mentalizzare permette l’interazione in modo efficace e la capacità interpersonale di risolvere i problemi (ad.es il momento in cui può esistere uno “sgancio”all’interno delle relazioni terapeutiche per cui da modalità di marcata dipendenza si instaurano forme di interscambio riflessivo e progressiva autonomia);

valore intrinseco: quando la qualità delle relazione assume una coloritura più intima e differenziata e permette un sensibile arricchimento delle esperienze affettive.

14 Fonagy P., Target M 2001 Attaccamento e funzione riflessiva. Milano, Raffaello Cortina

Riconoscendo nei processi di mentalizzazione la bussola concettuale che sottende la metodologia dei percorsi di cura terapeutica e la pratica degli interventi, la nostra riflessione si è spostata sul tentativo di comprendere quali aspetti del funzionamento mentale degli adolescenti e dei genitori, così come emergono nelle specifiche dimensioni di esperienza di cura e nella complessità dell’intervento descritto, possono assumere maggior significatività nel segnalare movimenti evolutivi (o di arresto), che rappresentano snodi del percorso e quindi comportano ricadute sull’assetto del progetto, sulla tipologia degli interventi e infine sulla definizione degli obiettivi.

In questa prospettiva ci siamo appoggiati alla proposta di inquadramento diagnostico-funzionale basato sul PDM e ci è sembrato poter individuare nell’ambito della dimensione del funzionamento mentale (asse MCA), alcune categorie che riflettevano modalità e componenti dei processi di mentalizzazione.

Abbiamo formulato un’ipotesi di lavoro in cui (sulla base del processo diagnostico-funzionale continuamente rivisitato) ci è sembrato che alcune categorie della griglia proposta dal PDM potessero contribuire ad una miglior comprensione dell’evoluzione del progetto di cura e potessero essere interpretate come indicatori di processo nei percorsi di presa in carico terapeutica.

Di nuovo, questo ci è sembrato di particolare significatività soprattutto a fronte delle nuove psicopatologie dell’adolescenza, ai disturbi di personalità borderline, alle problematiche connesse ai gravi disturbi dell’attaccamento, alle esperienze politraumatiche (vedi minori extracomunitari non accompagnati) per i quali la natura dello “scompenso” o comunque la necessità di una valutazione psicodiagnostica che superi la sola dimensione sintomatologia richiedono strumenti conoscitivi, categoriali e dimensionali nuovi e meglio descrittivi la complessità clinico-ambientale, del contesto familiare e sociale per poterne comprendere le molteplici dimensioni del funzionamento mentale e poter prefigurare un percorso terapeutico coerente.

In questo nostro progetto di lavoro, la revisione della casistica nei percorsi di presa in carico terapeutica di questi quadri, ci ha permesso di riflettere su alcune categorie della griglia del PDM che ci pare abbiano evidenziato:

particolare efficacia e sensibilità nella descrizione di aspetti di funzionamento mentale la cui attivazione, mobilizzazione, flessibilità (o meno) può costituire un momento di viraggio evolutivo dell’adolescente e quindi segnalare una svolta del progetto terapeutico con l’emergenza di pattern più funzionali;

tali categorie-indicatori del funzionamento mentale ci sono sembrate particolarmente significative in quanto collocabili in una dimensione temporale ampia, quale quella in cui si snoda l’intero percorso riabilitativo e che ne rappresenta la specificità e perciò appropriate per monitorarne la tenuta;

questi aspetti ci sembrano costituire parametri che favoriscono la riflessione sulla comprensione della diagnosi funzionale, vedendone la dinamicità e permettendo l’emergenza di elementi che fanno ripensare anche la dimensione strutturale; di conseguenza possono indurre importanti variabili nella progettualità terapeutica (es. orientare la scelta degli interventi, la loro pesatura, rivedere l’assetto globale e gli obiettivi ecc.)

Nella nostra riflessione sono state individuate alcune categorie della dimensione funzionamento mentale del PDM che sono sembrate più significative e “sensibili” nella comprensione della modificazione del quadro clinico e del processo terapeutico:

capacità di formare rappresentazioni interne

La possibilità di attivare processi di mentalizzazione che favoriscono la trasformazione della tendenza all’azione, l’espressione somatica, comportamenti impulsivi in rappresentazioni interne relative a un senso di sé più integrato, alle proprie sensazioni e emozioni, alla competenza di autoregolazione emotiva fino ad una rappresentazione dell’esperienza affettiva interpersonale ha costituito in molti casi un mutamento del funzionamento mentale che ha “aperto le porte” a nuove obiettivi terapeutici e a proposte operative fino a quel momento non sostenibili. Inoltre di grande significato è apparso il livello di competenza rappresentazionale per inibire i propri impulsi, che ha spesso favorito l’evoluzione delle relazioni interpersonali. Al contrario, nei caso in cui la fissità di questo punto si è mantenuta in un tempo protratto (spesso coerentemente all’espressione sintomatica) si è assistito ad un momento di stallo del processo terapeutico (per es. all’impossibilità di aprire nuovi scenari operativi);

capacità di differenziazione integrazione (senso di identità)

I momenti in cui (all’interno di una relazione educativo o terapeutica o entrambe), si è assistito all‘emergere e alla tenuta nel tempo della capacità dell’adolescente di differenziare i suoi vissuti / esperienze dagli altri e di storicizzarle nella propria vicenda personale, sono risultati essere indicatori sensibili dell’evoluzione del funzionamento mentale .

In particolare nei ragazzi con esperienze multitraumatiche o con gravi disturbi nelle relazioni di attaccamento la possibilità di rilettura di queste esperienze ha avuto un significato importante nella ricostruzione di un processo identitario;

esperienza, espressione e comunicazione degli affetti

Ci appare molto importante l’emergere di una competenza narrativa sia verbale che non verbale dei propri contenuti emotivi e di poterli collocare in relazioni significative, quali quelle maturate nell’esperienza di un lavoro educativo. L’ampiezza delle emozioni, la loro flessibilità a fronte delle diverse esperienze relazionali, la capacità di “sentirsi compresi”e la capacità di “ascoltare”gli altri sono sembrati parametri importanti per la modificazione delle rappresentazioni interne;

capacità di relazioni interpersonali e intimità

Significativa ci è sembrata l’emergenza di una capacità di empatia con possibilità di “comprendere la mente” dell’altro e di sintonizzarsi sui vissuti e pensieri altrui.

La rilettura secondo la griglia dinamica del PDM dei processi di mentalizzazione che emergono e caratterizzano il lavoro terapeutico ci sembra quindi costituire un importante e stimolante punto di riferimento e suggerisce alcuni spunti:

l’approccio secondo PDM rappresenta una modalità che facilita l’integrazione del gruppo di lavoro creando un linguaggio condiviso, trasversale che favorisce la comprensione allargata dei processi in atto e che promuove il senso di agency dei singoli operatori;

il PDM può rappresentare uno strumento di miglior comprensione dell’evoluzione dei processi di presa in carico terapeutica e contribuire in maniera significativa a ridefinire le linee di indirizzo operativo del progetto stesso;

la rilettura secondo questa griglia delle valutazioni diagnostico-funzionali iniziali, e rivisitate in itinere, può costituire una modalità di comprensione più sensibile della specifica dinamicità dell’età evolutiva e più coerente con i diversi bisogni emergenti.

In conclusione pensiamo che lo strumento del PDM possa facilitare la costruzione di un progetto terapeutico basato sulla “diagnosi al servizio del trattamento”, e che l’integrazione tra diversi momenti e ambienti terapeutici possa per questo divenire più fluida e funzionale stimolando in tutti gli operatori la ricerca di interventi per un progetto “patient- tailored”.

* Prof.Associato Neuropsichiatria Infantile Università Degli studi di Firenze, Psicoanalista SPI

** Neuropsichitra Infantile, Dirigente I livello ASL 10, Firenze, Psicoterapeuta età evolutiva Associazione Martha Harris Psicoterapia Psicoanalitica Infanzia Adolescenza (AMHPPIA).

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10 Jeammet Ph Psicopatologia dell’adolescenza Borla 1993

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12 Jeammet Ph Psicopatologia dell’adolescenza, Borla, 1993

13 Monniello G.L.Luoghi istituzionali e adolescenza, Borla, 2005

14 Fonagy P., Target M 2001 Attaccamento e funzione riflessiva. Milano, Raffaello Cortina

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