Film
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The Lesson, Recensione di V. Quattrocchi

 

A conclusione dell’undicesima rassegna Cinema e Psicoanalisi, frutto della collaborazione tra il Centro Psicoanalitico di Firenze e Stensen Cinema, sono stata invitata a commentare il film THE LESSON, un film Bulgaro che uscirà in Italia nel 2016.

La rassegna 2015 ha consentito di sviluppare il tema sulla scuola, BUIO IN AULA appunto.

Prima di addentrarmi nella breve riflessione sul film desidero esprimere qualche considerazione sul tema scuola.

Se il potere motivante dell’insegnare descritto da Massimo Recalcati lo porta ad ipotizzare una scuola-Telemaco che vede un’empatica collaborazione tra docente e discente, contrapposta alla scuola Edipo ed alla scuola Narciso, è importante collocare questa indicazione nella nostra storia più recente.

Osservo da tempo che l’aver ucciso il principio di autorità avrebbe dovuto aprire la strada all’autorevolezza che ognuno dovrebbe costruirsi a sua misura ed a misura altrui, ma la morte del principio di autorità ha messo in evidenza che questa operazione non è facile anche se non impossibile e che il principio di autorità di allora altro non era che un habitus, uno scudo per proteggere anche il niente. Dunque proprio per questo andava messo in discussione. Si pensi alle frasi senza rispetto dell’altro, ascoltate e subite nei nostri anni verdi: “…perché sono tuo padre!” “…perché sono il tuo insegnante!” “…perché lo dico io”! “…perché ho detto no.”

Il film

In una piccola città bulgara, Nadezhda, Nadia, una giovane insegnante di Inglese, sta cercando di smascherare chi, tra gli studenti nella sua classe, commette piccoli furti: deve fare lezione su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Improvvisamente si trova in difficoltà economiche con il rischio di perdere la propria casa e quando arriva a contrarre debito con gli usurai, trova una soluzione che tradisce i suoi buoni principi.

Il film si svolge nell’atmosfera squallida di una piccola società che vive in ristrettezze economiche, le ditte c falliscono, il lavoro è precario e mal pagato.

L’insegnante Nadia, severa, asciutta, impenetrabile è una donna ligia e rigorosa che sotto questa corazza trasuda umanità (delusione e dolore),ha un marito che non riesce a concludere nulla di buono per la sua famiglia ed una bambina Dea(Andrea).Il rapporto conflittuale con il padre, le fa sentire lontana la famiglia d’origine soprattutto in seguito alla morte della madre.

La scena si svolge su due piani sempre più contrapposti, in classe e fuori dalla classe.

In classe, dallo zaino di un’alunna sono stati sottratti pochi spiccioli, dopo una perquisizione andata a vuoto, Nadia invita il colpevole a riparare sia pure in forma anonima e nell’attesa propone l’autotassazione. Il piccolo ladro non ripara e resta nell’anonimato. Nel frattempo, mentre i suoi problemi economici si esasperano sempre più, l’insegnante insiste per far emergere l’identità del piccolo ladro che ripete il furto “atteso” sottraendo l’unico denaro rimasto dal borsellino dell’insegnante. Si scalfisce la sua irreprensibilità quando è costretta a dare sei a tutti gli alunni su ricatto dell’ usuraio al quale si è rivolta.

Fuori dalla classe accompagniamo Nadia nel suo percorso ad ostacoli.

Tutto gravita sulle sue spalle mentre Mladen, se pur affettuoso con entrambe, lei e la loro bambina Andrea, è inconcludente e, già dedito all’alcool, crea ulteriori problemi distogliendo il danaro del mutuo per riparare un camper inutile che blocca l’ingresso al cancello di casa. Si mette in moto o non si mette in moto? Il peso diventa insostenibile: scuola, traduzioni malpagate o mai pagate in un paese malmesso.

Il rapporto con la banca, con i gestori della società per traduzioni, con l’usuraio la porta, in solitudine, a esercitare la capacità di resilienza.

Nadia è “composta” riusciamo a estorcerle solo un paio di sorrisi, vive all’insegna del rigore che caratterizza tutti i rapporti. Perde veramente il controllo una sola volta e rinfaccia il suo dissenso, il suo disgusto al padre e alla sua compagna che troppo presto ha sostituito la madre morta e da sempre umiliata.

Poche scene quasi mute appaiono contrapposte, se da una parte c’è il bigliettaio che le presta il denaro del biglietto in cambio della soluzione d’un cruciverba con un gesto generoso a tutto spessore che la affranca dall’umiliazione esaltando le sue competenze, dall’altra c’è l’usuraio che, per concedere una proroga rispetto al debito, richiede in cambio precise prestazioni sessuali, accentuando la condizione umiliante in cui Nadia si trova.

Altre scene in un testo essenziale e con poche parole, appaiono simili perché descrivono la parte affettiva di quella Nadia altresì impenetrabile, la vediamo ora vicina alla tomba ancora provvisoria, della madre per bere “insieme” a lei un caffè, uno per sé uno per la madre, ora con la sua bambina, a leggere una favola per insegnarle l’inglese, ora ad abbandonarsi alle carezze ed ai massaggi di Mladen al quale tace le ultime vicissitudini.

In classe è austera ma è viva. Indulge poco agli aspetti complementari della comunicazione ed è perfettamente “calata nel ruolo”, ma spesso quando inizia la lezione, si rivolge ai ragazzi per chiedere se stanno bene, introducendo i troppo magri aspetti relazionali che la sua rigidità le consente.

A un tratto mi è chiaro che il suo accentuato rigore è una difesa ma la sua corazza è smantellata dagli ultimi precipitosi eventi; si trova a vivere un dramma reale accompagnato da un conflitto interiore, l’usura, il sei politico dato ai ragazzi, la denuncia tentata e ritirata per la scoperta del poliziotto corrotto. Il conflitto esplode con la rapina…quale nesso con quella Nadia ossessionata dalla disciplina, dalla correttezza, ossessione che la spinge a parlare del furto in classe, ancora, nel mezzo della lezione; avviene ciò come se ubbidisse a un richiamo interno imperante: è quella la lezione!

E’ umana proprio quando il suo modello d’insegnante si allontana da quello della persona che le circostanze la portano ad essere…”ragazzi non fate come me, l’importante è che voi non facciate come me!”

E nel salvare gli alunni, tenta di preservare anche se stessa, l’orrore per la menzogna e l’idea di sé.

Sarà allora vero che a scuola, insieme insegnanti e alunni sono accomunati dallo stare tra l’essere e il sapere e dunque il saper essere?

L’insegnante e gli allievi

C’è chi insegna

guidando gli altri come cavalli

passo per passo:

forse c’è chi si sente soddisfatto

così guidato.

C’è chi insegna lodando

quanto trova di buono e divertendo:

c’è pure chi si sente soddisfatto

essendo incoraggiato.

C’è pure chi educa, senza nascondere

l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni

sviluppo ma cercando

d’essere franco all’altro come a sé,

sognando gli altri come ora non sono:

ciascuno cresce solo se sognato.

Danilo Dolci

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