Buio in sala 2012
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The Woodsman – Il segreto proiezione di Domenica 21 ottobre

Domenica 21 ottobre – ore 20.30

The Woodsman – Il segreto

di Nicole Kassell

(USA, 2004, 87′)

Walter, dopo dodici anni di prigione per pedofilia, torna nella sua città e trova lavoro in un’acciaieria. Cerca di rifarsi una vita nonostante i demoni del passato e le tentazioni sempre in agguato. Dalla condotta apparentemente irreprensibile, Walter rimane sotto lo sguardo indagatore dei compagni di lavoro e dell’ispettore di polizia. Al primo passo falso, corre il rischio di perdere quello che ha costruito con fatica. Una straordinaria rappresentazione della fatica di essere normali.

Interviene: Benedetta Guerrini Degl’Innocenti

Benedetta Guerrini Degl’Innocenti (Centro Psicoanalitico di Firenze) è consulente di Artemisia, Associazione contro la violenza alle donne e ai minori.

Commento a The Woodsman di Benedetta Guerrini Degl’Innocenti

Credo che il mio compito stasera dovrà essere quello di dire qualcosa sul film, qualcosa di psicoanalitico, auspicabilmente breve e comprensibile, soprattutto in relazione ai temi che il film ci ha proposto. Penso di essere stata invitata a parlare di questo film in particolare perché, come consulente di Artemisia, mi occupo di comportamenti violenti e perversi contro le donne e i minori. Quindi restando aderenti alla rassegna di quest’anno, al film di stasera e ai miei interessi psicoanalitici parleremo di incontri, del potere delle e nelle relazioni e quindi anche di perversioni.

La regista del film, Nicole Kassel, ha detto in un’intervista: “Come per l’alcolismo o l’abuso di stupefacenti, la pedofilia è un grave disturbo con cui ci si confronta per il resto della vita. Quello che volevo mostrare era un personaggio che prova con tutto se stesso a guarire e a tornare alla normalità. La mia vera domanda è questa: se una persona simile è davvero animata da buone intenzioni, è giusto concederle una seconda occasione?”

Vorrei estrapolare da questa affermazione della regista pochi punti da offrire alla riflessione:

Che disturbo è la pedofilia e cosa ne sappiamo o crediamo di saperne?

Che modalità sceglie la regista per parlare di un tema così complesso e così carico emozionalmente?

Walter corrisponde al prototipo clinico del pedofilo?

Quali sono i possibili fattori di cura che il film ci propone?

Di tutte le devianze sessuali o parafilie, come le definisce la moderna nosografia psichiatrica, la pedofilia è senza dubbio quella che suscita reazioni più forti e violente, ma anche una delle meno studiate, nonostante che i numeri e la risonanza mediatica dei casi che arrivano ad emergere sia sensibile. Infatti mentre si fa un gran parlare dell’argomento sulla stampa, il tema P non è stato molto sviluppato dalla letteratura scientifica sia in termini di indentificare possibili modelli di sviluppo (percorsi evolutivi) che lo spieghino, né per quanto riguarda le possibilità di trattamento. I motivi sono vari, non ultimo il fatto che come tutti possiamo facilmente capire questo è un tema che scatena emozioni così disagevoli che è difficile e spiacevole averci a che fare.

Innanzitutto abuso sessuale sui bambini e pedofilia sono terminati certamente correlati, ma non sono sinonimi: è vero che chi soffre di pedofilia è più facile che abusi sessualmente un bambino rispetto a chi non ha impulsi pedofili, ma così come ci sono pedofili che non agiscono mai i loro impulsi, alcuni di coloro che abusano sessualmente bambini non sono primariamente pedofili nel loro orientamento sessuale.

All’interno della categoria dei soggetti affetti da pedofilia si riscontra una grande eterogeneità: ad esempio dal punto di vista psicopatologico non esiste un’unica forma di pedofilia: se ne distingue una forma PRIMARIA, con integrazione del Sé e struttura di personalità stabile in cui il sintomo è rappresentato dalla scelta oggettuale perversa e una SECONDARIA in cui l’agito pedofilo non è primariamente legato all’orientamento sessuale perverso, ma ad una sottostante patologia psichiatrica in genere nell’area borderline o psicotica.

Eterogeneità c’è anche rispetto agli antecedenti del disturbo (la storia familiare e personale) che risultano complessi e variabili. Nel campo dei disturbi mentali è sempre molto difficile ricostruire un unico percorso evolutivo che possa corrispondere a tutti gli individui che rientrano in quella categoria diagnostica ma nel caso della pedofilia e più in generale per la perversione questo è praticamente impossibile. Non esiste un singolo percorso che porta alla pedofilia e non sono state identificate specifiche esperienze infantili tali da poter essere considerate condizioni necessarie e sufficienti per sviluppare la patologia; cionondimeno ci sono certi tratti psicologici e certi processi evolutivi che sono comuni a molti individui pedofili.

Le persone affette da pedofilia credono, implicitamente o esplicitamente, che un bambino sia un partner sessuale appropriato per un adulto. Una prospettiva psicoanalitica presuppone che perché un individuo arrivi a una posizione del genere ci debba essere stato un fallimento nel normale percorso evolutivo, e in particolare un fallimento di quella complessa situazione evolutiva che va sotto il nome di complesso edipico. La situazione edipica stabilisce, potremmo dire, tre fatti di vita cruciali:

Le differenze di genere

Le differenze tra generazioni

Il differimento della gratificazione e il controllo degli impulsi

La pedofilia, come altre forme di perversione del normale sviluppo sessuale, si può leggere come un tentativo di negare questi fatti della vita (come li chiama Money-Kyrle), in particolare quello della differenza fra le generazioni.

La psicoanalisi ha ripetutamente confermato l’osservazione di Freud secondo cui in ciascuno di noi è latente un nucleo perverso, solo che non tutti lo agiscono e soprattutto non con le modalità esclusive, compulsive, ripetitive e talvolta a danno dell’altro che invece caratterizzano la sessualità patologica.

Che cosa sappiamo della personalità del pedofilo?

Secondo la visione classica la pedofilia rappresenta una scelta oggettuale narcisistica, che significa che il pedofilo vede il bambino come un’immagine che rispecchia se stesso bambino. I pedofili venivano anche considerati adulti impotenti e deboli che cercano bambini come oggetti sessuali perché questi oppongono meno resistenze e creano minore ansia dei partner adulti, permettendo così ai pedofili di evitare le angosce legate alla sessualità adulta. Nella pratica clinica si riscontra che molti pedofili soffrono di una patologia narcisistica del carattere, comprese delle varianti psicopatiche, per cui l’attività sessuale con bambini prepuberi servirebbe a puntellare una fragile stima del Sé. Per lo stesso motivo soggetti con questa patologia scelgono professioni a contatto con i bambini perché le risposte idealizzanti di questi ultimi li aiutano a mantenere un’immagine positiva di se stessi.

Quando alla componente narcisistica si associa la sociopatia le determinanti inconsce del comportamento possono venire impregnate da un sadismo distruttivo.

E quali sono i fattori di rischio che, al di là della immaturità psicologica e sessuale e della debolezza intrinseca del bambino rispetto all’adulto, possono esporre un bambino all’attacco pedofilo? Primo fra tutti il vuoto genitoriale: inteso come assenza, trascuratezza, negligenza nel mettere in atto le necessarie accortezze perché un bambino sia al riparo da seduzioni e aggressioni, ma anche inteso in termini di mancanza di una mente adulta che contiene il bambino come bambino, cioè con la sua bisognosità, la sua vulnerabilità e la sua inevitabile dipendenza da una figura di attaccamento. (esempi sui giornali)

Anche nel campo dei modelli di trattamento il panorama è piuttosto carente e questo sostanzialmente per due motivi:

Nella maggior parte dei casi l’impulso pedofilo, come ogni modalità relazionale perversa, è egosintonico: significa che il soggetto non percepisce questa sua attitudine come un problema, tantomeno come un sintomo da curare, quindi sono piuttosto rari i casi in cui un pedofilo cerca un terapeuta per farsi aiutare; più spesso accade che taluni di questi soggetti giungano in terapia per altri problemi come scompensi depressivi, attacchi di panico o problematiche relazionali;

I casi in terapia sono spesso soggetti che hanno compiuto reati sessuali contro minori, che come Walter sono stati condannati e che il tribunale obbliga, fra le altre cose, ad un trattamento. Per questo motivo i modelli di trattamento più sponsorizzati sono quelli psico-educazionali, basati su acquisizione di competenze cognitive e strategie comportamentali che sono l’obiettivo primario del sistema giudiziario, ma in realtà non sono ritenuti alla lunga efficaci dalla maggior parte dei soggetti. Senza parlare del problema spinoso che in questi casi il terapeuta è reporting nei confronti dell’autorità giudiziaria, con le complicazioni che potete immaginare in termini di costruzione di una buona alleanza terapeutica.

La psicoanalisi al contrario non agisce in prima battuta costruendo strategie cognitive o comportamentali di controllo dell’impulso, ma dedica una particolare attenzione ai dettagli del comportamento messo in atto e fantasizzato, partendo dal presupposto che la forma specifica di questi atti non è arbitraria o casuale, ma è espressione di relazioni oggettuali e conflitti interni al paziente pesantemente caricati di angoscia.

La difficoltà di lavorare con questi soggetti sta nel tenere in mente che nel paziente c’è la vittima e c’è il perpetratore: tenerlo in mente per non colludere con la vittima né al tempo stesso condannare il perpetratore, ma capire l’interazione esistente fra queste due facce del paziente. Talvolta diventare perpetratore è un modo di gestire le emozioni provate per essere stato vittima.

Più in generale si può dire che il vero nemico del perverso è il pensiero perché pensare vuol dire pensare le differenze e quindi la realtà stessa: l’obiettivo del perverso è quindi quello di attaccare la capacità di pensare dell’altro e quindi anche dell’analista.

Vediamo come la regista decide di affrontare questi temi. Prima di tutto usando come sottotesto simbolico la fiaba di cappuccetto rosso. in Italiano si perdono molti di questi riferimenti: woodsman in inglese è il guardaboschi, che è il personaggio che nella fiaba di cappuccetto rosso è meglio conosciuto come il cacciatore, il Sergente Lucas la cita poi esplicitamente in quella che forse è la scena più forte del film. Poi ci sono le scene nel bosco, il cappotto rosso di Robin…

La cifra della fiaba poi è rinforzata da un altro aspetto molto evocativo, legato al tema della pedofilia: in questo film non ci sono genitori. Il cherubino non sembra avere nessuno che gli dice che non si accettano caramelle dagli sconosciuti, Robin ha un padre che non si vede, ma che sappiamo che la usa sessualmente e poi la lascia andare in giro sola nel bosco, fin troppo facile vittima di un predatore sessuale. E dove erano i genitori di Vicky quando i suoi fratelli “si approfittavano” di lei e dove sono i genitori di Walter che non compaiono mai, nemmeno negli scambi con il terapista? Perfino il sergente Lucas parla di una bambina rapita dalla sua stanza mentre la madre guardava la televisione a un volume così alto da non rendersi conto che un estraneo era entrato e si era portato via la figlia. Forse la regista vuole denunciare un aspetto socialmente rilevante, oltre che psicologicamente pregnante, che è il rischio che corrono i bambini se manca una mente che li pensi e che pensi a garantire la loro sicurezza.

Questo film parla anche di incontri, e di come gli incontri possano essere molto diversi fra loro e di come possano svolgere funzioni differenti nella vita delle persone. Si potrebbe dire che ci sono degli incontri che potremmo definire trasformativi, quegli incontri che hanno in sé il potere creativo di cambiare il corso delle cose, che attraversano la vita dei personaggi lasciandoli diversi (l’incontro di Walter con Vicky, con Robin, con il Sergente Lucas) ci sono degli incontri che, al contrario, non contengono alcun fattore trasformativo, ma che anzi si caratterizzano per la coattività ripetitiva, per la messa in scena del sempre uguale ( l’incontro di Walter con le bambine, del Caramellaio con il cherubino, di Walter con Mary Kay e i colleghi).

E il film sembra dirci che certi incontri, certe relazioni possono “curare”: forse in questo caso non tanto la relazione terapeutica, che nel film appare un po’ scadente, un po’ troppo meccanica, a tratti comportamentista, a tratti una caricatura psicoanalitica poco convincente che non convince Walter, ma la relazione amorosa con Vicky che “vede qualcosa di buono in lui”, la relazione con il sergente Lucas che mette dentro di lui tutta la disperazione rabbiosa di chi non può salvare i bambini e la relazione con Robin, che evoca in diretta un potente movimento empatico di Walter con la sofferenza di una ragazzina costretta a subire le molestie del padre.

Troppo facile?

Si potrebbe obiettare che forse Walter non è proprio il prototipo del pedofilo: la pulsione pedofila è in lui ego-distonica (“quando sarò normale?”) e non pensa affatto che un bambino sia un partner adeguato, tanto che a Vicky, che lo vorrebbe rassicurare ripetendo che lei non si scandalizza, dice con rabbia “Invece ti dovresti scandalizzare”; si potrebbe forse anche obiettare, come fa il sergente Lucas, che in realtà “non ci sono cacciatori in questa merda di mondo” o che ci sono troppi lupi, ma in fondo questo è il bello del cinema, che talvolta, come le fiabe, ha il potere di farci sognare un lieto fine.

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