Buio in sala 2012
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Un cuore in inverno, proiezione del 29 Ottobre

Siena, 29 ottobre 2012

Un cuore in inverno

di Claude Sautet

(Francia, 1992, 105’)

Ispirato alla novella”La principessa Mary” (in “Un eroe del nostro tempo” di Michail J.Lermontov, 1840), Cuore d’Inverno di Sautet (Leone d’argento alla 49° Mostra del Cinema di Venezia e uno dei film più premiati in tutta Europa nel 1993) narra le vicende di due apprezzati liutai, Stéphan e Maxime, amici fin dai tempi delle loro frequenza al Conservatorio e ora anche soci nel lavoro: Maxime è l’amministratore mentre Stéphan, introverso è schivo, è l’artista dalle mani d’oro. Camille, giovane e affascinante violinista di successo è legata a Maxime, ma non resterà immune all’attrazione che Stephan esprime con la sua sobrietà e il suo sguardo intenso.“Il triangolo Maxime, Camille e Stéphan è una delle geometrie più fragili e resistenti del cinema d’ogni tempo”. (P.Farinotti, Il Dizionario, San Paolo 2007)

 

 Interviene: Benedetta Guerrini Degl’Innocenti

Benedetta Guerrini Degl’Innocenti (Centro Psicoanalitico di Firenze) è consulente di Artemisia, Associazione contro la violenza alle donne e ai minori.

 

Commento di Benedetta Guerrini Degl’Innocenti a “Un cuore in inverno” di Claude Sautet

Maxime e Stephane sono quasi in ogni senso una coppia perfetta. Nel laboratorio dove restaurano e riparano violini per l’elite musicale francese, lavorano insieme silenziosamente e in una sincronia senza sforzo, come ben si capisce dalle prime scene.

Il loro è un mondo armonico e ordinato dove ogni cosa scorre liscia facilmente inserita in una routine condivisa nella quale ognuno dei due sembra perfettamente a proprio agio nel ruolo che gli è destinato. Come un meccanismo bel oliato o un violino ben accordato. E questo è vero dentro il laboratorio come al di fuori. Potremmo dire che i ruoli sono per Maxime quello più attivo, gestionale, sicuro di sé, di una vitalità più espressa, ma anche apparentemente più superficiale e disimpegnata; Stephane è quello che ascolta, il partner silenzioso e intimista, ritirato, da retrobottega, ma anche apparentemente più riflessivo e di spessore. Il centro quieto del film. Mentre Maxime si prende cura dei clienti, li tiene per mano e coccola le loro delicate sensibilità, Stephane si prende cura dei loro strumenti, dedicato a questo in modo quasi monastico, apparentemente lieto di restare dietro le quinte. Perlomeno fino a quando Maxime non sgancia la sua bomba: durante una cena che sembra come tutte le altre dice a Stephane che si è innamorato, che lascia la moglie e che metterà su casa con Camille, una giovane, bella e talentuosa violinista.

E’ in questa scena fra Maxime e Stephane che si comincia a capire che le cose sono più complicate di quello che sembrano, a partire dai personaggi di cui si cominciano a cogliere le prime impercettibili tracce di ambiguità: nessuno è quello che sembra ad una prima occhiata e le motivazioni che li spingono restano sempre nell’ombra.

Quando Maxime gli dice :”Ti devo dire una cosa importante” Stephane, inaspettatamente risponde con un “Ah…” e un sorrisetto derisorio che irrita un po’ Maxime. E di nuovo quando cerca di dare una conclusione scontata e superficiale alla storia di Maxime: “ E l’hai riaccompagnata a casa…” Stephane esibisce un certo cinismo svalutante.

Tutta questa scena è giocata sulla linea di un doppio senso: Stephane che dice “così hai diviso una coppia” parla di Regine e Camille o di sé e di Maxime? E quando Maxime dice della moglie: “Non si passa la vita con una buona amica” parla della moglie o anche del suo rapporto con Stephane?

Ci sono due coppie speculari: Regine e Camille e Maxime e Stephane. Coppie costruite su una responsività di ruolo, come direbbe Sandler, in cui ognuno dei due partner contiene e rappresenta una parte complementare dell’altro, permettendo così alla personalità di ognuno di mantenere un equilibrio. Ma davvero queste coppie sono così simmetriche ed equilibrate? Siamo sicuri che Maxime e Stephane da una parte e Camille e Regine dall’altra usino la relazione con l’altro allo stesso modo?

Mi sembra che in realtà, se guardiamo alla modalità di funzionamento relazionale, Stephane e Camille si somigliano di più per come stanno dentro la coppia. Entrambi lasciano all’altro dare il ritmo, lasciano che l’altro si faccia carico delle cose della vita perché loro possano esprimere completamente il loro talento, esclusivamente e ossessivamente, entrambi tesi allo stesso risultato: trarre dal violino il suono perfetto. Ma non sopportano l’idea che l’altro possa essere indispensabile per loro, non tollerano l’idea della dipendenza, in fondo non sembrano sopportare di riconoscere che qualcosa di cui hanno bisogno, qualcosa di buono, possa arrivare da fuori di loro, da un altro essere umano. E’ quella che una certa teoria psicoanalitica chiamerebbe invidia primaria. E in realtà tutti e due talvolta, magari impercettibilmente, attaccano il legame con l’altro attaccandone le buone qualità e trasformandole in aceto. Camille fa cercare a Regine degli spartiti che sa bene di avere lei, sembra solo per il gusto di vederla affaccendarsi inutilmente. E Stephane in realtà denigra Maxime e la sua vita sentimentale con alcune battute fra il derisorio e il cinico.

Stephane, un po’ come Camille, sembra un’anima mai in pace con se stessa, tesa in un moto perenne di autosuperamento, afflitta dal senso di un tormentoso ritardo rispetto all’ideale inarrivabile della perfezione, ideale che, dal punto di vista psicoanalitico, si lega al problema del narcisismo. Quello di narcisismo costituisce uno dei concetti psicoanalitici insieme più fecondi e più difficili da definire (Manfredi Turillazzi 1998).

E’ difficile identificare, nella personalità narcisistica, una netta linea di demarcazione tra normalità e patologia: in una certa misura infatti il narcisismo rappresenta la malattia della nostra epoca (Lasch 1979) o, per dirla altrimenti, una delle “passioni grigie” di una società e di una cultura poco passionali.

Non è superfluo ricordare infatti che esiste, oltre al narcisismo patologico, un narcisismo ‘sano’ o ‘normale’. Il termine ‘narcisismo normale’ indica gli aspetti normali degli atteggiamenti che le persone hanno verso sé stesse, la loro autostima, la preoccupazione per il proprio Sé fisico e mentale, il senso di autoconservazione, il senso dei propri diritti.

“Il termine narcisismo normale si riferisce all’investimento positivo in un Sé normalmente integrato e può essere definito come il modo normale o adattivo di regolare l’autostima” (Kernberg P. in Ronningstam, pag.91).

Una buona parte della letteratura psicoanalitica tende a dividere i narcisisti in due tipi, variamente definiti, (a pelle spessa e a pelle sottile, overt e covert): Entrambi sono accomunati da una grave difficoltà nell’area della identità personale e in particolare nella regolazione dell’autostima; ma mentre nei primi (il tipo denominato a pelle spessa o inconsapevole) il meccanismo adottato per fronteggiare le ferite che la realtà può infliggere consiste soprattutto nella formazione reattiva, per cui essi diventano arroganti e aggressivi, nei secondi (tipo a pelle sottile o ipervigile ) è caratteristico invece un senso di vulnerabilità e di fragilità, di costante preoccupazione per le possibili offese narcisistiche. Il narcisista a pelle sottile, come Stephane, è timido e inibito e di conseguenza sfugge i rapporti sociali, soffre di cronici sentimenti di inadeguatezza, impotenza e talvolta di disperazione. E’ afflitto da un profondo senso di vergogna che rappresenta la parte emergente del desiderio di apparire splendido, grandioso.

Una caratteristica comune a tutta la popolazione narcisistica è la difficoltà nelle relazioni oggettuali, l’incapacità di amare: come dice Gabbard, “l’individuo con un disturbo narcisistico di personalità si accosta agli altri trattandoli come oggetti da usare e da abbandonare secondo i bisogni narcisistici, incurante dei loro sentimenti. Gli altri non sono vissuti come persone che hanno un’esistenza separata o bisogni propri” (1994). Una manifestazione della difficoltà nello stare in relazione, della mancanza di empatia, è l’incapacità di provare sia rimorso che gratitudine, l’incapacità di ringraziare e di chiedere scusa (McWilliams e Lependorf 1990). Sia il ringraziare che il chiedere scusa, infatti, implicano la capacità di preoccuparsi per l’altro e di riconoscere un proprio errore, quando ci si scusa, o un proprio stato di bisogno quando si ringrazia (ti ringrazio perché mi dai qualcosa che a me manca). Il narcisista non può riconoscere il proprio bisogno – sarebbe troppo doloroso, o addirittura catastrofico – come non può riconoscere un proprio errore (Filippini, 2005).

Un’altra peculiarità della patologia narcisistica è rappresentata dall’assenza del senso di colpa, che, si può dire, viene sostituito dalla vergogna; mentre il senso di colpa implica la convinzione di avere compiuto qualcosa di sbagliato e di dannoso, la vergogna consiste nella sensazione di essere profondamente difettoso e quindi nel timore di essere considerato in termini negativi, ad esempio debole, brutto, impresentabile. La vergogna è inoltre un sentimento più autoreferenziale: ci si vergogna per la propria inadeguatezza perché sebbene ci si vergogni davanti agli altri, gli altri rappresentano essenzialmente la cassa di risonanza di una vicenda tutta interna al soggetto.

Guardiamo Stephane alla luce di queste considerazioni sul narcisismo: ad un certo punto viene da chiedersi quale sia il suo scopo nel conquistare Camille visto che non la ama. Chissà, forse saggiare le sue forze, vedere dove può arrivare, forse provare l’eccitazione che gli da il potere sull’altro. Non sembrano entrarci i sentimenti, che forse lui giudica come una cosa sporca e ambigua: il narcisista ama la perfezione, godere di un potere puro come l’aria di montagna. Conquistare Camille può servire a marcare un rango all’interno di una scala gerarchica, un modo di sancire il suo prevalere sull’amico.

In questa dinamica in cui il narcisismo sfiora la perversione ritroviamo la traccia del romanzo da cui lo script del film è liberamente tratto: “Un eroe del nostro tempo” di Lermontov, una delle pietre miliari su cui si è costruito il romanzo russo dell’800. Il libro suddiviso in 5 storie analizza con toni introspettivi la figura romantica ed ambigua del giovane ufficiale Peciorin, personalità complessa con sangue caldo e mente fredda, tenerezza e brutalità, eleganza taciturna e spietata brama, delicatezza di percezione e ruvida passione nel dominare, che con consapevole spietatezza ingaggia un gioco di seduzione di una fanciulla nobile e altera per il solo gusto di umiliarla e, al tempo stesso, trionfare sull’amico realmente innamorato di lei e che con lui si confida.

Come per Peciorin quello di Stephane è un universo dove l’amore è escluso, dove chi ha la debolezza di provarlo viene sconfitto. Anche la strategia di Stephane di prevalere su Maxime passa attraverso il trionfo su Camille, che non ama, ma di cui apprezza il distacco altero, la bellezza e il talento, indispensabili a dare smalto alla conquista. Non c’è amore, ma solo strategie amorose; (“E’ vero che ho pensato di sedurti, ma non per amore, ma per gioco, per fare un dispetto a Maxime. Un cosa decisa a tavolino”) il sentimento per il narcisista è un terreno minato in cui qualsiasi abbandono costa un prezzo altissimo. L’unico abbandono totale, dedizione che Stephane conosce è per i violini; quelli degli altri e quelli che costruisce: ma Stephane il violino non lo vuole suonare (“poco talento, non mi piacevano i suoni che producevo”), così come non vuole provare i sentimenti.

Quello che il film sembra suggerire è che però, nonostante gli sforzi che Stephane può fare, sono i sentimenti che lo vanno a cercare, lo braccano, lo stanano. L’essenzialità atroce e bellissima di quel contatto di sguardi con il suo maestro amatissimo e morente che lo spinge oltre la soglia del nostro pensare umano, tocca Stephane, come tocca violentemente noi spettatori con la sua struggente intensità, e lo travolge. E lì capisce che il maestro non è l’unico essere umano che lui ha amato. Ma per lui e Camille è troppo tardi: la porta appena dischiusa è stata sbattuta con violenza. L’incontro finale di Camille e Stephane è un capolavoro dell’inespresso, dell’impossibilità disperata e disperante, di tutto ciò che poteva essere e non sarà più.

 

Bibliografia

Filippini S. (2005) Le relazioni perverse. Franco Angeli Editore.

Gabbard G.O. (1994). Psychodynamic psychiatry in clinical practice. The DSM-IV edition., Washington, DC, American Psychiatric Press.

Lasch C. (1979). The culture of narcissism. New York: Norton.

McWilliams, N., Lependorf S. (1990). Narcissistic pathology of everyday life: the denial of

remorse and gratitude. Contemporary. Psychoanalysis, 26, 430-451.

Turillazzi Manfredi S. (1998). Ascoltando Narciso. In “I seminari milanesi di Stefania Turillazzi Manfredi” , Quaderni del Centro Milanese di Psicoanalisi ‘Cesare Musatti’.

Ronningstam, E.F. (1998). Disorders of Narcissism. Diagnostic, Clinical and Empirical

Implications. American Psychiatric Press, Inc. 

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