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Saraò G. (2014). Un ponte sul Bosforo. 12 anni di seminari ASL-SPI.

Resoconto dell’esperienza dei seminari ASL-SPI fra i Servizi di Salute Mentale di Firenze e il Centro Psicoanalitico di Firenze (sezione locale della Società Psicoanalitica Italiana), ideati nel 2002 da Sandra Filippini (in quegli anni Segr. Scientifico del C.P.F.) e Giuseppe Saraò.

 

Giuseppe Saraò – Psichiatra , Membro Ordinario SPI e Responsabile del Servizio di Salute Mentale Adulti Firenze 2. V. anche le relazioni introduttive ai Seminari del 2011 , 2012 e 2013.

Avere l’opportunità di raccontare l’esperienza dei seminari Asl-Spi significa, non solo ripercorrere 12 anni di fatti ed ipotesi formative, ma soprattutto riflettere sulla salute mentale di comunità, sulla cultura e le conoscenze psicodinamiche di questi anni, sulle naturali evoluzioni e le problematiche odierne.

Appartenere a due sponde è come vivere tra due continenti, l’Azienda Sanitaria e la Spi, ognuno con le sue specificità: un’istituzione pubblica e una di natura privata; è faticoso fare la spola ma è di grande arricchimento personale poter mettere insieme contesti molto diversi.

Bisogna ritornare all’appassionante opera di costruzione dei servizi territoriali di cui la mia generazione di psichiatra ha partecipato negli anni ‘80 e ‘90. Una scommessa che ha cercato di tenere insieme la psichiatria sociale post manicomiale con la ricerca di una dimensione psicologica nella sofferenza mentale grave; un’attenzione alla psicopatologia pensando sempre ai vissuti dei pazienti di cui la tradizione fenomenologica ci stimolava a pensare. Oggi si direbbe un’attenzione alla soggettività dei pazienti e ai processi di soggettivazione. Molti operatori in questa ricerca si sono confrontati con l’esperienza analitica sulla propria persona, una generazione che si doveva costruire degli strumenti in progress e che cercava di non appiattirsi al conformismo istituzionale che spesso si appoggiava alle rassicuranti conferme del neo krepelinismo di derivazione nord americana. I farmaci erano importanti, fondamentali, ma come si declinava la relazione terapeutica lunga e spesso faticosa, senza scadere in riduzionismi vuoti e violenti che oscuravano la persona del paziente? E ancora, una volta costruiti i servizi territoriali, tra tante difficoltà, come si poteva lavorare con i molti operatori non medici che rappresentavano la spina dorsale del servizio? Professionalità che nel tempo si sono imposte aumentando lo spessore del lavoro istituzionale, apportando punti di vista diversi, ma soprattutto spontaneità e genuinità. Quale formazione per una platea vasta e molto diversificata, come coinvolgere gli operatori rispettando le loro formazioni ma nel contempo valorizzando i dati della propria soggettività?

Se la salute mentale cura attraverso la costruzione di un’affidabile relazione terapeutica (individuale e allargata), come integrare le competenze professionali con la persona dell’operatore e, infine, come tutto questo può realizzarsi in un gioco di squadra, un lavoro di comunità con interventi complessi, senza perdere di vista il progetto terapeutico con il paziente?

Sull’altro versante l’istituzione psicoanalitica con una lunga e gloriosa storia, fatta di personaggi e di grandi competenze sulla relazione terapeutica con variegati modelli che nel tempo si sono avvicendati; una continua ricerca, una passione al servizio della cura e della ricerca che nel tempo si è aperta sempre di più ai contesti sociali, senza avere più la preoccupazione di perdere e frammentare il nocciolo della sua “scienza”. Infatti, negli ultimi anni, c’è stato un interesse crescente verso i gruppi, le coppie, le famiglie, in poche parole verso setting diversi rispetto a quello classico duale; non c’è più sospetto che questo possa inquinare la purezza analitica, anzi queste ricerche sul confine hanno portato linfa vitale, hanno rinvigorito la falda psicoanalitica, creando una polifonia e favorendo la nascita di nuovi modelli di funzionamento mentale. In questa direzione basta pensare agli sviluppi con le neuroscienze o la ricerca di nuovi modelli teorici, come il prevalere del filone della psicoanalisi relazionale, o le proposte di Kaes sui processi di soggettivazione e di conseguenza la proposta di una terza topica che possa contenere i fenomeni gruppali e contestuali. Sempre più l’intrapsichico si trasforma in studio della dimensione interpersonale e questo apre un grande confronto con la salute mentale di comunità su basi più paritarie che fa diventare laboratorio di ricerca i servizi e nello stesso tempo permette di immettere aria nuova nel campo psicoanalitico.

Sul lavoro istituzionale

Sul versante dei servizi di salute mentale i sintomi e la relativa grave psicopatologia ci pongono, continuamente, di fronte ad alcuni problemi che meritano un’attenta consapevolezza:

– settings multipli e allargati

– integrazione funzionale del terapeuta con le altre figure professionali, coinvolte sul caso;

– valorizzazione del terapeuta come persona, mettendo definitivamente in crisi il concetto di neutralità;

– fa entrare in maniera prepotente l’ambiente nella stanza di terapia;

– necessità di considerare le dinamiche del gruppo e dell’istituzione non solo come rumori-problemi, bensì come ulteriori opportunità conoscitive e terapeutiche.

Da un lato è fondamentale considerare il versante soggettivo di un evento, ma al tempo stesso, occorre pensare al corrispettivo gruppale e collettivo dell’evento stesso; tutto questo tutelando sempre e comunque la specificità della relazione con il paziente. In definiva bisogna considerare che nello stesso tempo tanta parte della realtà psichica del paziente è situata in aree diverse da quelle dell’incontro terapeutico. Siamo, cioè, nel campo, del poco sviluppato, tema delle difese tran-personali.

Si può certamente affermare che le patologie gravi hanno imposto alla psicoanalisi di confrontarsi con le scienze confinanti:

– neuroscienze;

– cognitivismo;

– psicologia dello sviluppo;

– funzionamento istituzionale, gruppi-famiglie.

Molti autori sostengono che la psicoanalisi rimane un modello teorico fondamentale per i servizi territoriali e che essere psicoanalista ci pone in una situazione di vantaggio nel lavoro istituzionale. Infatti, bisogna riconoscere, che in un’istituzione pubblica le variabili attive verso il setting sono estremamente più potenti di quanto uno psicoanalista possa fare nel proprio studio privato. Inoltre quest’assetto può aiutare gli operatori a guardare oltre, a vedere i sintomi come qualcosa da interrogare, una dimensione conoscitiva, che da valore e spessore al lavoro istituzionale.

La modellistica psicoanalitica rimane uno strumento privilegiato all’interno della psichiatria di comunità, per leggere come la cornice istituzionale determina la qualità delle relazioni e dei percorsi terapeutici che si sviluppano tra pazienti, terapeuti e contesto istituzionale.

L’istituzione psichiatrica è una realtà complessa ma è anche fonte di grande potenzialità:

1) permette di avere a disposizione vari setting cui il paziente e la sua famiglia possono accedere;

2) fornisce setting multipli (ambulatorio, ricovero, strutture intermedie diurne riabilitative e strutture residenziali come le comunità terapeutiche….);

3) mette a disposizione setting allargati (più operatori con vari livelli di potere professionali nei vari presidii con cui il paziente viene a contatto);

4) creazioni di setting definiti (gruppi terapeutici, colloqui psicoterapici, attività riabilitative strutturate…);

5) numerose possibilità di utilizzare contesti interstiziali che di per se hanno un grande valore d’accoglimento (luoghi che si situano tra i setting del servizio, dove più facilmente si possono depositare aspetti indifferenziati che non possono esser depositati all’interno di un setting che prevede una relazione piuttosto definita e personalizzata).

Una grande attenzione va posta a come si definiscono i vari setting, come si articolano, a come il paziente transita da un luogo all’altro del servizio e ancora che cosa deposita e lascia nei vari presidi (ambulatorio-ricovero-struttura intermedia….) e con quali operatori entra naturalmente in sintonia o in contrasto.

Fondamentale pensare al servizio come uno scenario teatrale in cui gli operatori assumono, spesso inconsapevolmente, delle parti da recitare. Un meta-setting dove la mente estroflessa del paziente e della sua famiglia può trovare una qualche depositazione, in attesa che se ne possa ricavare una traccia di riconoscibilità storica.

Il Ponte

Con la determinazione e la passione di Sandra Filippini abbiamo iniziato a stabilire nuove rotte e collegamenti, nel 2002; l’intento era quello di buttare un sasso, vedere cosa sarebbe accaduto, stando molto attenti a due questioni fondamentali:

1) la ricerca di temi istituzionali molto attinenti alla clinica dei pazienti gravi portando a Firenze autori di livello che potessero trattare l’argomento prescelto con competenza che nascesse da una vera esperienza clinica, possibilmente anche di natura istituzionale. Tutto questo condito con un coinvolgimento dei servizi, non una “lezione” bensì uno spunto per un vero dialogo in cui si riconoscessero le differenze ma con l’intento di valorizzare l’oggetto e l’interesse in comune: la fascinazione per la ricerca clinica, un domandarsi sui fatti che incontriamo, come leggerli, quali strumenti utilizzare.

2) Il pericolo che temevamo era, senza volerlo, di utilizzare e scadere nello “psicoanalese”, un gergo rassicurante e conformistico, un tarlo che spesso ha corroso l’operatività, un riduzionismo non lontano da quello biologico, ma ancora più tossico perché ben vestito e ben presentabile! Un’urticante banalizzazione che spesso ha allontanato gli operatori e i pazienti dall’importanza dell’incontro terapeutico, un linguaggio seducente e distanziante.

C’era anche un chiedersi quale adesione avrebbe avuto una proposta che metteva insieme setting di lavoro molto diversi, professionisti privati e pubblici, cosa sarebbe successo. Eravamo incuriositi e preoccupati. Si è invece rivelato un grande successo, seppure in una condizione pioneristica in cui l’organizzazione era molto abbozzata. All’ultimo momento si dovette trovare una sala spaziosa. E questo successo si è ripetuto negli anni con una partecipazione che ha oscillato tra i 150-220 partecipanti per edizione (quest’anno siamo al 13° anno).

Elenco gli argomenti di questi anni, con i rispettivi relatori:

– 2002 “Disturbo di personalità” (M. Rossi Monti; M. Monari; M. Ponsi; A. Correale; G. Foresti; A.M. Pandolfi)

– 2003 “Borderline” (A. Correale; L. Boccanegra; F. Barale; E. Caverzasi; G. Berti Ceroni)

– 2004 “La diagnosi psicodinamica e i servizi di salute mentale” (S. Turillazzi Manfredi; A. Ferruta; G. Foresti; V. Lingiardi; M. Ponsi)

– 2005 “Gruppalità nei servizi di salute mentale” (F. Nosè; L. Boccanegra;A. Correale;M. Perini; R. Petrini; E. Gaburri)

– 2006 “Funzione genitoriale e funzione fraterna” (I. Ruggiero; G. Tavazza; P. Guarnieri; D. Vallino)

– 2007 “Io non ho bisogno, aree fusionali e onnipotenza paranoidea nei pazienti non collaboranti” F.M.Ferro; G.C. Zapparoli; A.M. Nicolò)

– 2008 “Sul delirio e sulla necessità di esistere” ( M. Rossi Monti;M. Arrigoni Scortecci; F. Nosè)

– 2009 “Campo gruppale e campo istituzionale: i gruppi terapeutici nei servizi di salute mentale” (A. Correale;F. Comelli; F. Nosè)

– 2010 “Paranoia e paranoiagenesi nei servizi di salute mentale” (M. Rossi Monti; G. Foresti; C.A. Barnà)

– 2011 “Fattori terapeutici nella riabilitazione: le comunità terapeutiche” (M. Sassolas;G. Riefolo; S. Calamandrei; M. De Berardinis;V. Quattrocchi; S. Domenichetti)

– 2012 “Vedute con paesaggi incerti e nature morte:i flussi emotivi, i transfert centrali e laterali nei sistemi di salute mentale” (G. Saraò; S. Bitossi; B. Guerrini Degl’Innocenti; M. Rossi Monti; A. Correale; L. Boccanegra)

– 2013 “Claustrofilia e claustrofobia: quando la relazione di cura non si trasforma” (G. Saraò; S. Bitossi;P. Boccara; A. Narracci; A. Ferruta; B. Guerrini Degl’Innocenti; L. Comin)

Una lunga avventura realizzata per la lungimiranza dei vari esecutivi della SPI e dei rispettivi segretari scientifici del Centro Psicoanalitico di Firenze: Sandra Filippini, Stefania Nicasi, Stefano Calamandrei e Benedetta Guerrini Degl’Innocenti.

Sempre più nel corso del tempo i seminari Asl-SPI si sono evoluti nella direzione di rafforzare al massimo la partecipazione diretta degli operatori dell’azienda sanitaria (sia come discussant che come relatori, portando esperienze cliniche e riflessioni concettuali sul lavoro di comunità). Grazie al coinvolgimento dei vari servizi ormai i seminari Asl-SPI sono diventati un evento che ogni anno propone argomenti e riflessioni dove tanti operatori s’incontrano e si scambiano esperienze; tutto questo avviene aprendosi, uscendo dai recinti del proprio servizio; una sorta di piazza dove s’incontrano il vicino e lo straniero che sta sull’altra sponda. Un laboratorio all’aperto dove si ricercano forme e linguaggi comuni pur rispettando le provenienze e i tratti identitari di provenienza. E’ come una piazza in cui vengono scambiati prodotti, pensieri ma anche modi di fare e di pensare, una sorta di festa-fiera paesana, in cui ci si riconosce anche se si appartiene a famiglie ed etnie diverse.

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