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Zontini G. (2024) DESTINI DELLA RIPETIZIONE – Economia della coazione a ripetere

In queste note vorrei proporre qualche considerazione sull’aspetto economico della coazione di ripetizione. Tale aspetto, infatti, è, a mio avviso, presente nel pensiero freudiano fin dall’inizio delle sue riflessioni sulla funzione del meccanismo della ripetizione all’interno dell’apparato psichico. Cercherò, poi, di introdurre qualche considerazione sulle forme attuali degli aspetti economici della coazione di ripetizione.

Già nel 1914 Freud osserva come alcuni pazienti non siano in grado di ricordare rappresentazioni e affetti rimossi, nonostante gli sforzi dell’analista intesi a superare le resistenze e di conseguenza a sollevare la rimozione. Tali pazienti sono dunque costretti a ripetere in tutte le attività e relazioni della loro vita (inclusa la relazione di transfert con l’analista) atti, verbali e non, che sostituiscono il ricordo, determinando una coazione a ripetere che diviene, appunto, il loro modo di ricordare.

Poco dopo, Freud (1915) ritorna sulla questione della ripetizione, più specificamente denominata, a questo punto della sua riflessione, come coazione di ripetizione, collegandola all’inerzia psichica, un aspetto peculiare e, come egli stesso afferma, altamente specializzato del funzionamento dell’apparato psichico. Il legame tra la coazione di ripetizione e l’inerzia psichica consente a Freud di ipotizzare che la coazione di ripetizione sia intesa a manifestare legami tra determinate pulsioni e impressioni e gli oggetti ad esse collegati. Tali legami acquistano una tenacia che li rende molto difficili da sciogliere proprio perché formatisi in epoche assai remote nelle quali vige la conservazione della traccia affettiva e senso-motoria piuttosto che della traccia mnestica

Sempre nello stesso periodo, Freud (1915-1917) riprende la questione della ripetizione da un altro versante, notando come nelle nevrosi traumatiche anche i sogni sembrano intrappolati in una necessità di ripetere l’evento traumatico, come se questi pazienti non fossero venuti a capo del trauma e si proponessero il campito di sormontarlo après coup. La ripetizione diviene così un mezzo per gestire l’effrazione dell’apparato psichico provocata da un eccesso stimolatorio esterno che in tal modo assume un valore traumatico.

Nel 1919 Freud sposta il focus della sua attenzione relativamente alla coazione di ripetizione. Nel saggio su Il Perturbante, infatti, egli inizia a collegare più decisamente la coazione di ripetizione e la pulsione. In questo scritto, di fatto, Freud sostiene che la coazione di ripetizione proviene dai moti pulsionali essendo connessa alla natura più intima delle pulsioni. Per questo motivo, tale meccanismo possiede una forza che si impone a dispetto del principio di piacere e fornisce alla vita psichica un carattere demoniaco. La coazione di ripetizione, in questo momento della riflessione freudiana, non è più tanto volta a governare un eccitamento esterno quanto, piuttosto, a gestire o semplicemente rilevare quantità eccitatorie interne, pulsionali. 

Il legame coazione di ripetizione-pulsione sarà ribadito e precisato nel 1920. In Al di là del principio di piacere, infatti, Freud (1920) chiarisce che la coazione di ripetizione ha un carattere diverso dalla ripetizione di contenuti inconsci che non possono essere ricordati ed espressi verbalmente, ma possono manifestarsi solo, appunto, attraverso la ripetizione (dell’atto). I due meccanismi mostrano certamente numerose similitudini: usano entrambi l’atto, sostituiscono entrambi con esso funzionamenti maggiormente simbolici come il ricordo, entrambi si manifestano in terapia quando le difese dell’Io, soprattutto la rimozione, sono state superate o almeno ridotte dal lavoro terapeutico. In questo scritto, però, Freud, osservando la ripetitività del gioco infantile e delle caratteristiche del legame che si instaura tra il bambino e le figure parentali, assegna alla coazione di ripetizione una funzione per così dire fisiologica: ripetere le esperienze infantili che sono state piacevoli per fissarle affinché possano poi essere sottoposte al lavoro di rimozione e rese inconsce, un lavoro necessario perché il piacere di tali esperienze infantili non produca, nel corso dello sviluppo, dispiacere in un altro sistema: l’Io.

Questo aspetto fisiologico della coazione di ripetizione riguarderebbe, quindi, la trasformazione del moto pulsionale caotico e indifferenziato, in principio di piacere, che la stessa coazione di ripetizione poi nel corso dello sviluppo trasformerà nel principio di realtà che, come lo stesso Freud afferma, rappresenta una forma modificata del principio di piacere. Insomma, la coazione di ripetizione, nella sua forma originaria, elementare, trasforma l’energia del moto pulsionale, sottoponendo quest’ultimo a ripetizione, da energia libera in energia legata. L’operazione di legame della quantità pulsionale avviene, a mio avviso, mediante la fissazione del moto stesso alle esperienze con gli oggetti meta della pulsione. Ciò consente all’eccitamento pulsionale di trasformarsi in principio di piacere. L’applicazione ricorsiva della coazione di ripetizione all’esperienza connessa al principio di piacere permette poi a quest’ultimo di trasformarsi nella sua forma modificata, il principio di realtà. In questa seconda forma il piacere e l’esperienza ad esso connessa possono raggiungere l’Io, mentre la loro forma infantile viene conservata nell’inconscio rimosso che la coazione di ripetizione, mediante il suo stesso procedimento, contribuisce a costruire.

Ma in che modo possiamo ipotizzare una fisiologia della coazione di ripetizione a partire dalla sua forma originaria ed elementare? In che modo, cioè, essa opera la trasformazione del moto pulsionale in principio di piacere?

 

Pulsioni e coazioni 

Le pulsioni, afferma Freud (1920), costituiscono una fonte di eccitamento interno rispetto al quale la psiche non dispone di uno schermo antistimolo; le fonti di tale eccitamento sono le forze che traendo origine dall’interno del corpo vengono trasmesse all’apparato psichico. Mancando uno schermo antistimolo interno si determina nella psiche una circolazione di forze, di un’energia (Freud 1895) libera che tende alla scarica. La coazione di ripetizione originaria determinerebbe una riduzione quantitativa dell’energia liberamente circolante mediante un’attività di legame, primario e secondario, dell’energia stessa.  Solo in seguito alla costruzione del legame primario e secondario, il principio di piacere e quello di realtà che ne è una forma modificata possono subentrare al funzionamento eccitatorio della pulsione.

La coazione di ripetizione originaria, quindi, funzionerebbe come un rudimentale schermo antistimolo interno. Nella sua forma fisiologica, cioè, la coazione di ripetizione costituirebbe un meccanismo di governo economico della spinta pulsionale che agirebbe prevalentemente sulla riduzione della quantità pulsionale generatasi a livello della fonte e della spinta della pulsione. Essa agirebbe, dunque, sulla radice corporea della pulsione, sulla sua fonte e spinta somatica. Anche a questo livello la riduzione quantitativa dello stimolo somatico avverrebbe legando l’energia libera del moto pulsionale. Questa operazione di legame, a mio avviso, può avvenire solo quando la coazione di ripetizione può rilevare la funzione dell’oggetto che soddisfa il bisogno. In ogni caso, la riduzione dello stimolo somatico operato dalla coazione di ripetizione permetterebbe infine alla pulsione di trasformarsi in principio di piacere/realtà, di psichicizzarsi, di divenire motore del funzionamento dell’apparato psichico. 

 

Coazione e rimozione

La psichicizzazione della pulsione, dunque, è legata alla riduzione degli stimoli eccitatori organici operata dalla coazione di ripetizione, riduzione che consente il formarsi di una rappresentanza psichica dello stimolo corporeo. Il costituirsi della rappresentanza psichica, poi, permette alla rimozione originaria di operare, agendo come controforza. Questo primo gioco pulsionale consente infine all’inconscio originario di costituirsi.  

Qualcosa di simile afferma Lacan (1959-1960) quando asserisce che il soggetto nasce morto alla vita. Nel pensiero di questo autore, a mio avviso, l’ordine simbolico assume una funzione simile a quella della rimozione originaria: il significante, l’ordine simbolico nel quale fin dalla nascita siamo immersi, incide la materia vivente del soggetto. Il soggetto, cioè, per entrare nel mondo dell’umano deve perdere la sua naturalità animale, deve operare la rimozione originaria dell’eccitamento corporeo per poterlo trasformare in desiderio, la cui specifica formazione e declinazione sarà al fondo della singolarità del soggetto.

 

Riassumendo

 Ripercorrendo dunque l’evoluzione nel corso del tempo del pensiero freudiano circa il concetto di coazione di ripetizione, credo di poter dire che tale concetto trova le sue origini nel fondamento economico del funzionamento psichico: la coazione di ripetizione gestisce quantità pulsionali. Tuttavia, in un primo momento della riflessione freudiana questa gestione riguarda soprattutto lo scambio quantità-qualità. Quando Freud, nel 1914, parla di una ripetizione che soppianta il recupero del ricordo e la sua verbalizzazione ha in mente, a mio avviso, un’economia di scambio della quantità pulsionale in qualità. Sappiamo infatti che Freud (1895) assegna proprio all’atto i segni di qualità poiché ipotizza che tali segni non siano altro che informazioni di scarica. La stessa associazione verbale non sarebbe altro che un’azione motoria specifica che perciò può sostituire l’atto inteso come azione nel senso stretto del termine. La ripetizione, dunque, come sostituto di un atto verbale connesso al recupero di un ricordo, assume in questo momento della teorizzazione freudiana il senso di un’economia di scambio tra quantità e qualità: la quantità pulsionale grazie all’atto motorio di parola o agito viene scambiata con una qualità e quindi assume un senso e un significato.

A partire dal 1920, Freud considererà la coazione di ripetizione come un meccanismo che consente una gestione puramente economica del moto pulsionale: l’atto verbale o agito in quanto tale non serve più allo scambio quantità-qualità, ma è inteso alla sola gestione quantitativa dell’ammontare pulsionale. Tale gestione prevede che la ripetizione sia messa al servizio della riduzione alla fonte della quantità pulsionale, coadiuvando in tal modo l’attivazione della rimozione originaria, una riduzione ottenuta mediante il legame primario e secondario della quantità energetica libera del moto pulsionale. L’operazione di legame, riducendo la quantità pulsionale, consente la trasformazione della pulsione in principio di piacere e nella sua forma modificata, il principio di realtà.

 

Dallo schermo antistimolo alla forza demoniaca

Come è noto, all’interno della teoria psicoanalitica, la patologia psichica viene considerata come una deviazione del funzionamento fisiologico dell’apparato psichico. Ne discende, dunque, che la coazione di ripetizione che osserviamo nella clinica debba essere, essa stessa, considerata come una deviazione in senso patologico della coazione di ripetizione fisiologica, originaria. La forma patologica della coazione di ripetizione, come afferma lo stesso Freud (1920), prende l’aspetto di una ripetizione demoniaca, la cui forza trae origine dal ripresentarsi immodificato della quantità pulsionale. L’elemento economico immodificato e immodificabile della spinta pulsionale determina, quindi, la direzione in senso estintivo della meta pulsionale, come se l’unica meta possibile per la pulsione fosse la scarica assoluta, la liquidazione di ogni possibile energia psichica, in questo senso mostrando la prevalenza della pulsione di morte in queste forme patologiche di coazione di ripetizione.

Ma cosa determina la deviazione in senso patologico della coazione di ripetizione? Seguendo Freud (1920), potremmo sostenere che è l’impossibilità a legare l’energia libera del moto pulsionale che condiziona la forma patologica della coazione di ripetizione. Ma come si forma il legame, cosa lega l’energia libera? Io credo che quest’ultimo interrogativo chiami in causa l’oggetto.

 

Oggetti e loro destini

Nella riflessione freudiana, l’oggetto è la parte più variabile della pulsione, non essendo direttamente legato ad essa. Esso viene momentaneamente collegato alla pulsione grazie a quelle caratteristiche che lo provvedono della condizione di rendere possibile il soddisfacimento pulsionale (Freud 1915). Tuttavia, nel 1922 Freud postulerà una sottocategoria di oggetti del tutto diversa: gli oggetti di importanza incomparabile, i genitori, la cui persistenza nell’intero arco della vita giustifica la presenza dell’inconscio e la formazione della soggettività mediante quelle identificazioni secondarie necessarie per dare alla soggettività stessa quella permanenza temporale che autorizza ogni soggetto all’uso del pronome personale “io” che resta tale nel corso del tempo e dei cambiamenti di vita.

Un duplice statuto dell’oggetto, dunque, in Freud: l’oggetto come parte assai variabile della pulsione, sostituibile e in fondo accessoria, e l’oggetto come elemento talmente importante e insostituibile da rendere necessaria la sua conservazione nell’inconscio per via di rimozione o nella soggettività per via di identificazione.

Ma la duplicità dello statuto dell’oggetto viene ripresa da Freud anche ad un altro livello.

Nel suo studio afasiologico, Freud (1891) evidenzia l’importanza della formazione della rappresentazione di oggetto relativamente alla comparsa del linguaggio. Egli sostiene che tale rappresentazione ha una natura prevalentemente percettiva: le sensazioni provenienti dall’esterno e raccolte dai vari recettori sensoriali vengono rilevate dalle terminazioni spinali e avviate verso la corteccia cerebrale, ricevendo in questo percorso altri apporti (mnestici, spaziali, etc.), per terminare infine in una percezione globale dell’oggetto nella quale i diversi stimoli sensoriali confluiscono non più in una condizione di registrazione punto a punto degli stimoli esterni ma in una forma meno specifica, più generale. Si tratta, comunque, pur sempre di una rappresentazione costituita su base fortemente percettiva. O di una percezione rappresentativa, a campione, del mondo esterno.

Nel saggio L’inconscio (Freud 1915) compare il concetto di rappresentazione di cosa che sostituisce in modo prevalente il termine di rappresentazione di oggetto. Perché questa sostituzione? Perché cambiare il nome di un concetto già piuttosto chiaro e definito? Ho pensato, allora, che il termine oggetto fosse un termine più determinato, più connotato percettivamente, “oggettivamente”, laddove la cosa è meno connotata in senso percettivo ed oggettivo e, perciò, più adatta a descrivere un processo rappresentativo che si sviluppa soprattutto intorno ad elementi affettivi generati nel rapporto con le figure parentali

Sono dunque le quantità affettive generatesi a seguito delle esperienze “oggettive” con le figure parentali che determinano la trasformazione della rappresentazione d’oggetto in rappresentazione di cosa. Quest’ultima viene conservata nell’inconscio in modo permanente proprio in quanto costituisce un modello per l’investimento dell’oggetto e per la gestione dell’affetto a partire da quel corredo affettivo che l’ha resa rappresentazione di cosa e non più rappresentazione di oggetto.

Per questo motivo, per la trasformazione del moto pulsionale in principio di piacere/realtà, è importante la risposta dell’oggetto. Essa contiene quegli elementi percettivi e oggettivi che confluiscono poi nella rappresentazione di oggetto. Ma contiene anche elementi affettivi che evocano nel soggetto una corrispondente quota di affetto. Il corredo affettivo della risposta dell’oggetto determinerà nel soggetto la formazione della rappresentazione di cosa. In tal modo la rappresentazione di oggetto, divenuta rappresentazione di cosa, funge da modello non solo rappresentativo degli investimenti, ma anche di gestione quantitativa della quota di affetto presente in ogni investimento. Questo modello viene utilizzato dalla coazione di ripetizione originaria per la gestione dell’ammontare quantitativo del moto pulsionale. L’oggetto, cioè, immette all’interno dei dati oggettivi della relazione, una quota di affetto che a sua volta evoca, organizza, la quota di affetto pulsionale del soggetto, le fornisce un tempo e un ritmo che riducono e rendono coerente il moto che, lasciato a sé, tenderebbe semplicemente ad un suo incremento e conseguentemente alla scarica. Di questa prima organizzazione dell’affetto si serve, secondo me, la coazione di ripetizione originaria.

Freud stesso (1895) ha assegnato una grande importanza alla risposta dell’oggetto per la costituzione della soddisfazione allucinatoria del desiderio e quindi per l’attivazione del principio di piacere: il Nebenmensh, l’adulto soccorritore, fornisce una risposta agli stati eccitatori interni che sorgono in rapporto ai bisogni che lo stato di inermità infantile non consente di soddisfare autonomamente. Se la risposta è adeguata l’esperienza di alleviamento del bisogno verrà fissata e darà luogo, quando l’eccitamento legato al bisogno si ripresenta, al soddisfacimento allucinatorio non più del bisogno da cui l’esperienza allucinatoria stessa allontana, ma del desiderio (di soddisfacimento) che sostituisce il bisogno. 

L’importanza di un’adeguata risposta dell’oggetto viene ribadita anche da Green (1993) che pure assegna all’oggetto un duplice statuto: quello di oggetto-garanzia e quello di oggetto-desiderante. L’oggetto-garanzia è l’oggetto esterno, l’oggetto “oggettivo”, primario, che dispensa le cure materne. Quando tale oggetto fornisce cure materne adeguate e quindi risposte adeguate, cioè, a mio avviso, affettivizzate, all’eccitamento legato al bisogno, l’allucinazione negativa può svolgere il suo lavoro che consiste nel negativizzare la presenza percettiva dell’oggetto-garanzia. In tal modo viene costruita quella struttura inquadrante dell’apparato psichico necessaria perché si possano attuare le produzioni allucinatorie e rappresentative rivolte alla soddisfazione non più del bisogno, ma del desiderio. L’oggetto-garanzia prende così la forma di oggetto-desiderante, meta di investimento libidico. Queste due forme dell’oggetto primario entrano entrambe nel montaggio pulsionale, l’oggetto-garanzia nella sua formulazione negativa operata dall’allucinazione negativa e dunque come precondizione necessaria all’ingresso nel montaggio pulsionale dell’oggetto-desiderante rievocato e rievocabile per via allucinatoria (positiva) o per via di rappresentazione.

Se però la risposta dell’oggetto primario, del Nebenmensch, non è adeguata il funzionamento dell’apparato psichico viene, in vario grado e modo, compromesso.

Più specificamente, per quanto riguarda la coazione di ripetizione originaria, una risposta inadeguata dell’oggetto primario, non fornendo un modello di gestione della quota di affetto, altera la sua capacità di gestione quantitativa dell’eccitamento pulsionale. L’eccesso eccitatorio permane immodificato e ciò determina l’impossibilità alla trasformazione della pulsione in principio di piacere/realtà. L’unica gestione possibile di un tale eccesso stimolatorio diviene, così, la scarica, l’estinzione del moto pulsionale. La coazione di ripetizione per ottemperare a questa gestione estintiva si propone nella sua variante patologica e prende l’aspetto di una forza demoniaca indomabile e incoercibile. La rimozione originaria del moto pulsionale, di conseguenza, non è più possibile e ciò determina la necessità per l’apparato psichico di mettere in moto altri meccanismi difensivi per tenere a bada, almeno in parte, l’eccesso eccitatorio.

Ne vorrei prendere in considerazione uno in particolare, l’indifferenza, per la sua capacità di condizionare la strutturazione della soggettività nella sua interezza. 

Dal punto di vista psicoanalitico, l’indifferenza, secondo me, funziona come meccanismo difensivo rivolto al controllo della quota di affetto legata alla rappresentazione dell’oggetto “di importanza incomparabile”, quell’oggetto che permane nell’inconscio come rappresentazione di cosa.

Ora, quando la risposta dell’oggetto primario al moto pulsionale è insoddisfacente la rappresentazione di cosa inconscia è corredata di una quantità affettiva eccessiva e instabile. Di conseguenza, la coazione di ripetizione originaria non può esplicare la sua funzione di gestione quantitativa della pulsione poiché non dispone di un modello di gestione dell’ammontare affettivo. Quindi anche l’intervento della rimozione originaria sulla quantità eccitatoria è poco efficace o instabile. Questa situazione ricade anche sulla rimozione secondaria e quindi sulla permanenza e sulla stabilità della stessa rappresentazione di cosa nell’inconscio. L’affetto, dunque, rischia sempre di irrompere nell’apparato psichico e questa irruzione non potendo essere trattata per via di rimozione deve essere trattata in altro modo. L’indifferenza è uno dei modi di trattamento dell’irruzione affettiva.  La componente affettiva, la quota quantitativa di affetto, della rappresentazione di cosa, generatasi intorno alla relazione primaria con le figure parentali e divenuta inconscia, diviene indifferente, consentendo così alla rappresentazione disaffettivizzata di permanere nell’inconscio. Gli antichi oggetti possono dunque essere investiti indicando la direzione dei futuri investimenti, ma solo in quanto rappresentazione, in un modo “spassionato”, privato di affetto. Ciò determina un’indifferenza affettiva generalizzata verso tutti gli aspetti della vita: le relazioni sbiadiscono e perdono significato, la vita lavorativa diviene scialba e ripetitiva, ogni interesse per persone, cose o attività diviene spento e routinario. Si determina così quella condizione antropologica dell’indifferenza per la quale ci si lascia trascinare dalla corrente della vita senza davvero viverla.

Nella clinica, l’indifferenza può costituire l’impronta patologica di alcune forme di coazione di ripetizione. Ma forse questa condizione è particolarmente rilevante anche nelle relazioni sociali contemporanee. Forse, la perdita di rilevanza degli “oggetti di importanza incomparabile” e con essi delle funzioni superegoiche (perdita che trova il suo riflesso nello sbiadimento dei garanti metasociali), la volatilità e inaffidabilità della risposta dell’adulto soccorritore, la sostituzione di molte funzioni dell’altro umano con le funzioni di dispositivi “artificiali”, sono al fondo di quest’uso difensivo dell’indifferenza.

Provo, perciò, a proporre qualche riflessione su questa questione a partire dalla clinica e da alcuni aspetti del legame sociale attuale. Riflessioni che preferisco proporre non in forma scritta ma in forma di dialogo sia per motivi di riservatezza, sia per motivi di “libere associazioni”.

 

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