Psicoanalisi e dintorni
Lascia un commento

La guida alla teoria polivagale. Il potere trasformativo della sensazione di sicurezza. Recensione di Elisabetta Bellagamba

Stephen W. Porges

(Giovanni Fioriti Editore 2018)

Il libro si struttura come un’intervista che descrive, con un linguaggio accessibile e privo di tecnicismi, le caratteristiche peculiari della teoria polivagale, mettendo in evidenza il ruolo della sensazione di sicurezza. Infatti, secondo tale prospettiva un deficit nella sensazione di sicurezza è una caratteristica biocomportamentale che porta alla malattia fisica e mentale.

Porges ritiene che la regolazione del sistema nervoso autonomo funzioni come “una piattaforma neurale su cui diverse classi di comportamento adattivo” (p 4) si esprimono in modo efficiente. L’evoluzione è un principio organizzatore che mostra quei circuiti neurali che hanno promosso sia il comportamento sociale che due classi difensive, come la mobilizzazione, associata all’attacco-fuga, e l’immobilizzazione, associata, invece, al fingersi morto e al nascondersi. Quest’ultima, spesso, è associata, negli esseri umani, alla dissociazione. Il circuito connesso al comportamento sociale, filogeneticamente più recente, è definibile attraverso la connessione faccia-cuore in quanto la regolazione dei muscoli striati della faccia e della testa sono neurofisiologicamente associati alla regolazione neurale del cuore. Dal nome della stessa teoria, la ricerca di Porges si concentra sulle funzioni del nervo vago che è, come viene specificato, un nervo cranico che ha origine dal tronco dell’encefalo, e ha una comunicazione bidirezionale tra il tronco e gli organi viscerali. I due sistemi vagali ricoprono funzioni diverse: un sistema è in grado di mediare la bradicardia e l’apnea, e l’altro sistema regola l’aritmia sinusale respiratoria. I due circuiti vagali differiscono in quanto il primo è costituito da vie non mielinizzate, definito anche sistema vagale rettilineo, filogeneticamente più antico del secondo sistema, tipico dei mammiferi, composto, invece, da vie mielinizzate. Tale circuito più recente amplia le funzioni adattive del sistema nervoso autonomo. Come spiega l’autore, questo permette di inferire lo stato fisiologico della persona osservando i loro volti e ascoltando la voce, ossia prestando attenzione ai livelli impliciti della comunicazione, così come vari psicoanalisti hanno più volte mostrato l’importanza, non ultime le importanti ricerche di Schore (2019, 2014, 2011) sulla comunicazione tra cervelli destri.

La teoria, come accennato all’inizio, si basa sul costrutto della sicurezza che, come delineato da Porges, è multisfaccettato e chiama in causa varie caratteristiche che originano da processi e domini diversi, come il contesto, il comportamento, i processi mentali nonché lo stato fisiologico. Se la persona si sente al sicuro c’è accesso al sistema vagale mielinizzato in grado di regolare i muscoli del volto, di ridurre l’attività di difesa avendo l’opportunità di giocare e di assaporare le interazioni sociali. Infatti, basta pensare a come soggetti con importanti sofferenze psichiche presentino una difficoltà a giocare. Nella prospettiva della presente teoria il giocare richiede l’interazione sociale, pertanto, alcune attività solitarie non vengono considerate come gioco poichè è attraverso le interazioni faccia a faccia che prende corpo la riparazione di una violazione di aspettativa portando la mobilizzazione,che si attiva durante il gioco, a non trasformarsi in aggressività. All’interno di tale prospettiva il gioco è “un potente esercizio neurale che utilizza le interazioni sociali per co-regolare lo stato fisiologico e comportamentale” (p 64) in quanto è in grado di contenere e ridurre il sistema di difesa attacco-fuga.

La sicurezza è strettamente associata alle caratteristiche ambientali e viene definita non tanto dalle valutazioni cognitive quanto, piuttosto, dalle risposte del corpo. Il processo che valuta il rischio nell’ambiente avviene senza necessità di consapevolezza è denominato neurocezione, distinto dalla percezione che, invece, richiede un certo livello di consapevolezza. La neurocezione innesca dei cambiamenti nello stato autonomico al fine di far fronte in modo adattivo agli indizi ambientali. Tale processo conduce il sistema nervoso autonomo nei tre stati definiti dalla teoria polivagale: sicurezza, pericolo e minaccia di vita. Inoltre, pone in primo piano il ruolo del sistema del coinvolgimento sociale (faccia, cuore, nervo mielinizzato) nella riduzione dei sistemi difensivi. Infatti, quando il sistema del coinvolgimento sociale è attivo la persona si sente calma, per contro quando il rischio ambientale aumenta si attivano i sistemi di difesa.

La neurocezione dà avvio a una risposta fisiologica che influenza i significati soggettivi delle esperienze vissute. Le reazioni corporee cambiano e polarizzano non solo lo stato fisiologico ma anche la percezione del mondo. Da ciò si evince come rivivere in un ambiente sicuro, quale il setting terapeutico, delle esperienze traumatiche porta a una ritrascrizione dell’esperienza stessa. Infatti, la memoria non viene più concettualizzata come in passato un sistema di archiviazione, ma piuttosto come la capacità dell’intero organismo di ricategorizzare, una capacità che scaturisce sempre dai processi di coordinamento sensomotorio (Mancia, 2007). A questo proposito Panksepp, nel suo lavoro del 2012, sostiene che i ricordi non sono solo soggetti a processi dinamici di consolidamento ma sono anche affetti da riconsolidamento. Questo significa che quando ci serviamo dei nostri ricordi, e i ricordi di conseguenza ritornano in una modalità attiva, essi possono essere rimodellati e poi riconsolidati in forme che sono diverse rispetto ai ricordi originali. Tali ricordi ricostruiti tipicamente includono l’informazione su nuovi contenuti emotivi che non erano presenti quando il ricordo originale si è consolidato. Perciò, i vecchi ricordi divengono temporaneamente instabili quando sono richiamati in contesti nuovi e sono rielaborati di conseguenza. “Anche se Freud non sapeva nulla di tali meccanismi cerebrali sembra che fosse piuttosto consapevole del fatto che i processi della memoria operassero in questo modo quando coniò il termine NACHTRAGLICHKEIT, ritrascrizione per descrivere il tipo di processo mentale che è caratterizzato da temporalità e costruzioni psichiche” (p. 239)

La teoria polivagale fornisce “una narrativa neurobiologica che si focalizza sull’importanza della sicurezza e sulle conseguenze adattive della capacità di rilevazione del rischio sullo stato fisiologico sul comportamento sociale, sull’esperienza psicologica e sulla salute” (p 39). Tale concettualizzazione enfatizza che i circuiti neurali che supportano il comportamento sociale e la regolazione delle emozioni siano disponibili quando l’ambiente viene percepito come sicuro e che tali circuiti sono strettamente connessi alla salute, sia fisica che psichica, e alla crescita. Gli stati di sicurezza, infatti, sono un precursore non solo per il comportamento sociale, sostiene Porges, ma anche per poter accedere alle strutture cerebrali superiori deputate alla capacità di essere creativi e produttivi. A questo proposito l’autore pone attenzione alla necessità di comprendere quali caratteristiche dell’ambiente minano la capacità di sicurezza che a sua volta comporta una riduzione del comportamento sociale e un’amplificazione dei sistemi di difesa e, pertanto, a una diminuzione nella sfera della salute. La riflessione si estende non solo all’ambiente sociale e istituzionale, come le scuole e gli ospedali, ma anche alla cultura e alla società che non tiene adeguatamente conti dei bisogni individuali legati alla sicurezza.

Porges, nella sua intervista, pone in essere un’importante riflessione su alcune caratteristiche dell’ambiente medico-ospedaliero che innescano un senso di vulnerabilità e l’attivazione di una neurocezione difensiva, ampliando così i tempi del recupero dello stato di salute.

Tale teoria, come suggerisce l’autore, può aiutare il clinico a prestare attenzione allo stato fisiologico del cliente considerandolo come un fattore determinante del ventaglio di comportamenti che possono essere espressi.

Il sistema di coinvolgimento sociale è descritto come un insieme funzionale di specifiche vie neurali che regolano la muscolatura striata della faccia e della testa. Tale sistema proietta le sensazioni corporee e costituisce una finestra attraverso la quale è possibile modificare tali sensazioni lungo un continuum che va da uno stato di sicurezza che promuove la fiducia e l’amore, a uno stato di vulnerabilità che, invece, promuove reazioni difensive. Infatti, attraverso l’evoluzione, spiega Porges, si è verificata un’integrazione tra i nervi e le strutture che definiscono il sistema di coinvolgimento sociale che regolano le espressioni facciali, l’ascolto e la vocalizzazione con“la via neurale del sistema nervoso autonomo che è in grado di calmare il cuore e di diminuire l’attività di difesa”…questo sistema bidirezionale che lega gli stati corporei con le espressioni facciali e le vocalizzazioni ha fornito una finestra per la comunicazione sociale che coinvolge le richieste di co-regolazione e i meccanismi per calmare e riparare la co-regolazione in seguito a delle rotture” (p 42).

Nella concettualizzazione di Porges, lo sviluppo di un legame sociale, e, quindi, anche di un legame di attaccamento, avviene grazie a due processi consequenziali: coinvolgimento sociale e creazione di legami. Nel primo processo vengono utilizzati gli aspetti impliciti della comunicazione come la vocalizzazione, ascolto dell’intonazione della voce, le espressioni facciali e i gesti, oltre che comportamenti legati all’ingestione di cibo.  Infatti, i comportamenti legati all’ingestione di cibo, come l’allattamento, utilizzano gli stessi meccanismi neurali usati per il comportamento sociale.

Le scoperte emerse dalla teoria polivagale hanno importanti ripercussioni in ambito clinico, in particolare nel trattamento degli aspetti traumatici dell’esperienza, così come descritto nel capitolo secondo. Sono, oramai, noti gli effetti di risposta allo stress, ma la teoria polivagale, sostiene che la strategia di difesa, attacco/fuga o spegnimento, messa in atto, non è una decisione volontaria. Il sistema nervoso, sostiene Porges, valuta in ogni istante, al di fuori della consapevolezza, i rischi presenti nell’ambiente e le risposte automatiche che emergono, in risposta al trauma, sono soggettive. Ad esempio, per alcune persone determinati stimoli ambientali possono far scatenare reazioni di attacco/fuga mentre in altre reazioni volte allo spegnimento. In virtù di questo, nel trattamento la questione cruciale non è tanto l’evento traumatico in sé quanto, piuttosto, la “comprensione della risposta all’evento” (p 47). In questi termini il prerequisito di qualsiasi trattamento che risulti efficace è la creazione di uno stato di sicurezza che permette di far acquisire al paziente una risorsa in grado di promuovere la regolazione delle strategie di difesa attraverso il coinvolgimento sociale. L’autore sottolinea come anche le caratteristiche fisiche dell’ambiente clinico, e non solo gli aspetti impliciti della comunicazione, giocano un ruolo importante per lo sviluppo della sensazione di sicurezza. Infatti, alcuni rumori potrebbero innescare degli stati difensivi mentre altri suoni possono calmare e generare sicurezza così come non sono importanti solo le parole utilizzate ma anche “l’intonazione della voce al fine di innescare una neurocezione di sicurezza” (p 73). Tali considerazioni richiamano da una parte le riflessioni di Searles (1968) sull’ambiente non umano e sul setting “fisico” e dall’altra il noto concetto di musicalità del transfert di cui parla Mancia (2004), grazie al quale si dispiega l’inconscio non rimosso. In linea con tale prospettiva, Schore (2014) sostiene che il clinico affettivamente sintonizzato deve spostarsi a un ascolto che contempla, anche, l’emisfero destro, ossia un ascolto ampiamente espanso che si concentra sul quadro globale, una caratteristica che si adatta alla descrizione di Freud dell’importanza dell’ “attenzione uniformemente sospesa”. Bucci (2002) ha osservato: “Riconosciamo i cambiamenti negli stati emotivi degli altri sulla base della percezione di sottili cambiamenti nelle loro espressioni facciali o nella postura, e riconosciamo i cambiamenti nei nostri propri stati sulla base dell’esperienza somatica o cinestesica” (p. 194)

La teoria polivagale arricchisce la comprensione dei disturbi psichiatrici in quanto ha messo in luce come in essi il sistema del coinvolgimento sociale e l’abilità di ridurre l’attività dei sistemi di difesa sono compromessi. Infatti, le funzioni “inconsce”, ossia involontarie, come la respirazione e la frequenza cardiaca, sono anche legate alle relazioni nelle sue qualità di intimità e fiducia ma è anche il contrario, nel senso che il sistema nervoso influenza l’interazione con gli altri. La teoria di Porges enfatizza il ruolo delle relazioni nel regolare lo stato fisiologico e, soprattutto, come la creazione di relazioni sicure incrementino lo stato di salute, poiché le vie neurali del supporto sociale e del comportamento sociale sono condivise con le vie che supportano la salute. E’ per questo ultimo motivo che le scienze mente-corpo e cervello-corpo sono la stessa cosa vista da prospettive diverse. Queste evidenze portano a sottolineare l’importanza del ruolo dell’attaccamento nel corso dello sviluppo e come l’instaurarsi di un attaccamento sicuro sia un elemento fondamentale per la capacità di auto-regolarsi. Tali considerazioni risultano in linea con le moderne neuroscienze affettive, nonché con le teorie psicoanalitiche che hanno ampiamente sottolineato da varie angolazioni l’importanza delle relazioni primarie nello sviluppo psico-affettivo.

Porges denomina la sua teoria “preambolo dell’attaccamento” (p 95), in quanto, secondo il suo punto di vista, nella teoria dell’attaccamento mancava la condizione ambientale che portava all’attaccamento stesso. Da tale prospettiva il sistema vagale della via mielinizzata fornisce la piattaforma neurale su cui i processi di attaccamento hanno luogo.

BIBLIOGRAFIA

Bucci, W. (2002). The referential process, consciousness, and the sense of self. Psychoanalytic Inquiry, 5, 766–793

Mancia, M. (Ed.). (2007). Psicoanalisi e neuroscienze. Springer Science & Business Media.

Mancia, M. (2004). Sentire le parole: archivi sonori della memoria implicita e musicalità del transfert. Bollati Boringhieri.

Panksepp, J., Bivin, L. (2012). Archeologia della mente. Origini neuroevolutive delle emozioni umane. Milano: Raffaello Cortina Editore

Schore, A.N. (2019): Forging Connections in Group Psychotherapy Through Right Brain-to-Right Brain Emotional Communications. Part 1: Theoretical Models of Right Brain Therapeutic Action. Part 2: Clinical Case Analyses of Group Right Brain Regressive Enactments, International Journal of Group Psychotherapy, 70(1), 29-88

Schore, J. R., & Schore, A. N. (2014). Regulation theory and affect regulation psychotherapy: A clinical primer. Smith College Studies in Social Work, 84(2-3), 178-195.

Schore, A. N. (2011). The right brain implicit self lies at the core of psychoanalysis. Psychoanalytic dialogues, 21(1), 75-100.

Searles, H. F. (1960), The non-​human environment, International University Press, New York; tr. it. (1968). L’ambiente non umano. Torino: Einaudi, Torino

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *