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Rapito di Marco Bellocchio. Recensione di Stefania Nicasi

rapito di bellocchio

Presentato in occasione di Buio in Sala – Cinema in Villa, 12 luglio 2023

 

La vicenda storica

Edgardo Mortara fu portato via dalla sua famiglia e dalla sua casa di Bologna nel  giugno 1858 per ordine di Pio IX, papa e re dello Stato pontificio, a conclusione di un’indagine condotta dall’Inquisitore di Bologna padre Pier Gaetano Feletti. Dall’indagine era emerso con relativa certezza che Edgardo, ancora in fasce e forse gravemente ammalato, era stato segretamente battezzato dalla domestica Anna Morisi che voleva salvarne l’anima. Per la Chiesa cattolica il battesimo, ricevuto per aspersione in articulo mortis, era valido: dunque il bambino andava sottratto all’educazione religiosa ebraica e allevato secondo i corretti principi cristiani. Edgardo, che non aveva ancora sette anni, venne tradotto segretamente a Roma nella Casa dei Catecumeni. Tutti i tentativi della famiglia per riaverlo furono vani. Edgardo crebbe sotto l’ala di Pio IX, si consacrò a Dio giovanissimo, si rifiutò di tornare a casa una volta cresciuto e liberato con la presa di Roma ( 20 settembre 1870, Breccia di Porta Pia) dal potere temporale del papa. Anzi, nel timore di essere forzato a rientrare in famiglia, si nascose e fuggì all’estero. Imparò nove lingue. Soffriva di crisi nervose, morì quasi novantenne: cercò per tutta la vita di convertire gli ebrei al cattolicesimo, segnatamente i suoi genitori. Scrisse un’accorata autobiografia intitolata “Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX”. Fu un personaggio scomodo e pertanto ricordato malvolentieri sia dai cattolici sia dagli ebrei: i primi imbarazzati dalla colpa del rapimento, i secondi dalla vergogna della conversione.

 

Due opposte narrazioni

Come nota lo storico David Kertzer esistono due grandi narrazioni di questa vicenda.

Nella prima, un bambino viene strappato alla famiglia senza pietà in nome di una legge assurda eseguita con l’implacabile coerenza di chi è convinto di essere nella Verità e di perseguire il Bene: isolato dal mondo, sottoposto a un martellante indottrinamento, intimorito, lusingato, vezzeggiato, circuito e persino amato è indotto a rinnegare i suoi affetti e la sua fede. I genitori non si riprenderanno mai più dalla violenza subita.

Nella seconda, un bambino viene salvato dall’errore e dalla dannazione eterna. Toccato dalla Grazia divina al momento del battesimo, trova la via alla quale inconsapevolmente tendeva. Al fortunato fanciullo è assegnato un posto a fianco del santo pontefice che soffre, lotta e piange per salvare la sua persona e la sua anima. Il fanciullo abbraccia la fede cattolica e se ne fa portavoce facendosi novizio e poi frate e sacerdote nell’Ordine dei Canonici Regolari del Laterano. Pieno di gratitudine, prende il nome di Pio Maria. Il viaggio verso Roma assume il carattere simbolico del passaggio dall’errore all’illuminazione: partito da Bologna ancora ebreo, Edgardo giunge a Roma da devoto cattolico. La sua mansuetudine è il segno della Grazia divina. Quel segno che il papa e i cattolici attendevano nei tempi oscuri della minaccia al potere temporale. Non dimentichiamo che il 1858 è l’anno della prima apparizione della Madonna a Lourdes e che Pio IX è il papa che ha istituito il dogma della Immacolata Concezione.

Fra le due narrazioni non sapremo mai quale fosse la versione di Edgardo, il bambino conteso. Conosciamo la versione di Pio Maria, tutta sbilanciata a favore della Chiesa e in disperata difesa dell’autenticità della vocazione, dunque dell’autenticità della sua stessa vita.

 

Il film

Marco Bellocchio ha dichiarato in numerose interviste reperibili nel web – molto bella quella di Concita De Gregorio – di aver cercato di non giudicare, rappresentando i fatti senza prendere partito e tuttavia salvando quell’aura di ambiguità e di mistero che circonda Edgardo/Pio.

La sceneggiatura è accurata, colta e fedele alla storia per come gli storici l’hanno ricostruita. Il film procede lento e inesorabile.

Ma è quasi impossibile mantenersi neutrali: il senso di giustizia e il senso di umanità lo impediscono perfino, immagino, ai più fervidi credenti. Forse un credente di oggi direbbe che se Dio avesse voluto Edgardo vicino a sé avrebbe saputo aspettarlo, e rispettarlo, a differenza di Pio IX.

Dunque il regista non è neutrale pur mantenendosi distaccato: è però capace di suscitare nello spettatore le emozioni violente dalle quali sembra, lui, volersi astenere. Le emozioni offuscano la comprensione mentre il regista vorrebbe ascoltare la voce di Edgardo. Che cosa gli sarà successo? Dove si sarà nascosto? Quello del nascondersi è un filo importante: vediamo Edgardo giocare a nascondino con i fratelli prima, con i compagni di collegio poi. Anche Bellocchio ricorda di aver molto giocato a nascondino, la sera, con i suoi numerosi fratelli. Edgardo veniva nascosto dai precettori e dal papa nel timore che venisse rapito dai familiari e poi si nascose per anni, all’estero. Nel nascondersi c’è anche la speranza di essere cercati e trovati. Alla cerimonia del noviziato il padre officiante tenne una predica su Isaia 65, 1: “Mi sono fatto trovare da chi non mi cercava”. Il passo ricorre nella Lettera ai Romani (10, 20) dove San Paolo auspica che gli ebrei sposino la fede in Cristo.

Nel corso di quella via crucis che nel film diventa il viaggio da Bologna a Roma, Edgardo si trova spesso a contemplare il crocifisso, l’uomo inchiodato. Sembra provarne pena, sogna di liberarlo. La sua liberazione invece non verrà, non secondo Bellocchio. Ci sono sprazzi di ribellione, moti che rivelano uno spirito non del tutto domato ma che restano isolati e inconsci, come quando rischia di far cadere il pontefice (episodio narrato nell’autobiografia) o scissi come quando si unisce alla folla che cerca di buttare la salma del papa nel Tevere (episodio inventato perché all’epoca Edgardo non si trovava più a Roma).

Bellocchio sembra mettere nel viaggio il cuore della vicenda umana di Edgardo, quella vicenda che lo porterà dalle gonne della mamma alle gonne del papa, mai davvero separato dalla madre, mai liberato dalla soggezione al padre – il padre naturale come il padre spirituale – che impone una religiosità opprimente.

Il corteo funebre che sfila sulla riva del fiume mi sembra contenere la chiave interpretativa del film, la torsione che il regista imprime alla vicenda. Edgardo muore insieme al suo vero Sé. Muore per poter sopravvivere. Sopravvive convertendosi da oggetto della violenza a soggetto della vocazione. Rapito dagli uomini, si fa rapire da Dio e in questo rapimento, nel fervore religioso che percorre le sue gesta e la sua autobiografia, si riscatta. Ma il prezzo del riscatto è altissimo.

 

Stefania Nicasi

Membro Ordinario Società Psicoanalitica Italiana

Centro Psicoanalitico di Firenze

stefanianicasi@gmail.com

 

Villa Bardini, Firenze, 11 luglio 2023

 

 

Indicazioni bibliografiche

Gemma Volli è stata la prima storica a occuparsi del caso Mortara con una serie di articoli per il centenario della cattura di Edgardo che sono stati poi riuniti e pubblicati dall’editore Giuntina:

Volli G. (2016), Il caso Mortara. Il bambino rapito da Pio IX, Firenze, Giuntina.

David Kertzer, storico, vincitore del Premio Pulitzer:

Kertzer D. (1996), Prigioniero del Papa Re, Milano, Bur, 2015.

Daniele Scalise, giornalista:

Scalise D. (2023), Il caso Mortara, Milano, Mondadori.

Vittorio Messori, giornalista, cattolico, pubblica, preceduto da un commento, il Memoriale inedito di Edgardo Pio Maria:

Messori V. (2005), “Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX”, Milano, Mondadori.

La Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna ha curato un percorso bibliografico digitale tra le fonti del caso Mortara, facilmente reperibile in rete.

 

Alcune delle cose che è utile sapere

1) “Allorché venni adottato da Pio IX, tutto il mondo gridava che ero una vittima, un martire dei gesuiti. Ma, ad onta di tutto ciò, io, gratissimo alla Provvidenza che mi aveva condotto alla vera Famiglia di Cristo, vivevo felicemente in San Pietro in Vicoli e nella mia umile persona agiva il diritto della Chiesa, a dispetto di Napoleone III, di Cavour e di tutti gli altri grandi della Terra. Che cosa rimane di tutto ciò? Solo l’eroico non possumus del grande Papa dell’Immacolata Concezione” (Padre Pio Maria Edgardo Mortara, Relazione al Katholikentag, 1893, Wurzburg).

 

2) “Ciò che rese singolare la vicenda non furono il battesimo forzato e la sottrazione alla famiglia di un bambino ebreo, ma il fatto che, dopo secoli in cui eventi simili accadevano regolarmente, il mondo finalmente vi si interessò e insorse protestando. Fatto ancor più significativo, il caso Mortara segnò un punto di svolta nel processo di creazione di organizzazioni nazionali e internazionali di autodifesa ebraica sia in Europa sia negli Stati Uniti” (Kertzer, 1996, 439).

 

3) La Casa dei Catecumeni – esplicitamente deputata alla conversione degli infedeli – “si trovava in bilico sulla linea di demarcazione tra due mondi e proprio in questa sua posizione di confine consisteva il suo terrificante potere” per gli ebrei (Kertzer, 1996, 85).

Le prime Case dei Catecumeni risalgono al terzo secolo. Le spese per il loro mantenimento erano a carico del ghetto. Quella dove fu condotto Edgardo era la prima dell’età moderna, creata nel 1540 da Ignazio di Loyola, fondatore dell’ordine dei Gesuiti, per la conversione di ebrei e mussulmani. Bolgna aprì la sua casa nel 1568, Ferrara nel 1584, Modena e Reggio attorno al 1630 (Cfr. Kertzer, 1996, 85).

 

4) Rapito esce nel 2023 a distanza di due anni da Marx può aspettare (2021) documentario bellissimo che mi sembra essere la negativa privata del ritratto di una famiglia che in Rapito ritroviamo nella forma sviluppata e pubblica della fotografia. Ne raccomando la visione per comprendere gli echi della famiglia Bellocchio (otto figli, una madre cattolicissima, un fratello malato di mente, una sorella sordomuta, un fratello, Camillo, gemello di Marco, suicida a 29 anni) nella famiglia Mortara.

 

 

 

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