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Le figure del vuoto – Paola Freer

a cura di L.Rinaldi e M.Stanzione

venerdì 1 febbraio 2013 ore 18.00

Saletta ETS Editori, Piazza Carrara 16, Pisa

Luigi Rinaldi e Maria Stanzione, curatori di questo affascinante volume che raccoglie ricchi ed eterogenei contributi, pongono la questione di come i mutamenti sociali e culturali che propongono nuovi ‘valori’ (produrre, consumare, dissipare) influiscano sulla clinica favorendo una fenomenologia ‘a-rappresentazionale’, caratteristica di patologie quali l’anoressia, la bulimia, le dipendenze, le depressioni. Viene posto l’interrogativo se patologie “monosintomatiche” possano essere pensate, come scrive Rinaldi, sotto forma di “metafore sociali di una mutazione antropologica”, determinata dal sovvertimento “dell’imperativo kantiano fondato sul dovere che è stato soppiantato dall’imperativo del diritto al godimento illimitato”, che attualmente sembra dominare e che, come sottolineato da Bauman nel libro “Consumo dunque sono” (2007), “si articola attraverso l’applicazione di tre regole: ‘godere qui e ora/in modo solitario e non al servizio del legame/vivere in un tempo punteggiato che si caratterizza più che per la continuità, per un frazionamento in monadi racchiuse in se stesse’”. Rossella Pozzi, nel suo contributo osserva come oggi “colpiscono le costellazioni sintomatiche dell’alfa privativo: anoressia, abulia, astenia…ma soprattutto il vuoto di passioni” e come vi sia la tendenza ad un “isolamento affettivo e relazionale, spesso in adolescenti e post-adolescenti che si ritirano dalla vita sociale per rifugiarsi nelle loro stanze, a volte in contatto col mondo solo attraverso internet. Questo viene definito un vero e proprio agito del vuoto” dove “l’io si impoverisce, si svuota, fa terra bruciata dentro e fuori di sé: il vuoto passa all’atto e costruisce la propria messa in scena”.
L’autrice segnala inoltre, come altra figura del vuoto, il “vuoto di una passione autentica per la vita civile, culturale, politica che drammaticamente latita”. Recalcati sottolinea come i pazienti di oggi fatichino a desiderare e come sia difficile l’accesso al desiderio mentre vi è facilità di accesso al godimento, alla “dissipazione del godimento”. Gli autori, nei loro stimolanti e contributi, esaminano patologie centrali come la depressione e l’anoressia, dove l’apporto della psicoanalisi è quello di tentare di “trasformare il vuoto in assenza” (André): in questa luce, la melanconia viene significativamente definita anche “malattia dell’autoritratto” (Luchetti), dove l’oggetto si configura come “un disertore” e il soggetto si trova quindi ad identificarsi con “una cornice svuotata dal puntello del desiderio dell’altro”; l’anoressia viene approfondita in particolare nella sua forma più grave, denominata ora anoressia “melanconico-tossicomane” (Recalcati), dove domina la “non vitalizzazione del desiderio”, ora “tossicodipendenza dal nulla” (Thanopulos) dove si realizza la negazione della relazione di desiderio.

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