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Conrotto F. (2016). Ripensare l’inconscio.

Testo della relazione presentata nel seminario “Ripensare l’inconscio”. Francesco Conrotto dialoga con Amedeo Falci, Mario Rossi Monti, Benedetta Guerrini Degl’Innocenti (Firenze, Ist.Stensen 15 Ott 2016) che pubblichiamo per gentile concessione dell’Autore.

In primo luogo ringrazio il Centro Psicoanalitico di Firenze, il suo Presidente e il suo Segretario Scientifico per questo invito e tutti i presenti che sono voluti venire ad ascoltarmi.

Come sappiamo l’argomento della giornata è complesso e impegnativo. Pertanto, non immagino di poterlo svolgere in maniera esaustiva ma mi riprometto di individuare alcuni temi che mi sembrano assai rilevanti.

Benché l’idea di inconscio sia stata presente nel pensiero filosofico occidentale quantomeno da Leibnitz, quello di cui ci occuperemo è l’inconscio nella prospettiva della psicoanalisi.

Nei primi lavori di Freud, l’inconscio era identificato con il “rimosso”, cioè con il prodotto della espulsione dalla coscienza di pensieri e desideri, ritenuti inaccettabili da parte dell’Io cosciente. Per ora, possiamo continuare a concordare con questa visione di Freud, anche se, nel prosieguo di questa riflessione, ritorneremo sull’argomento per tentare di chiarire il senso di questa  inaccettabilità, da parte della coscienza, di alcuni desideri e pensieri.

Per ora le questioni che intendiamo affrontare sono quelle della modalità di funzionamento di questo sistema psichico e della sua forma di organizzazione.

I due concetti ai quali fa riferimento Freud sono quelli di “pulsione”, formulato  nei “Tre saggi” del 1905 e di “tracce mnestiche  di esperienze effettivamente vissute in epoca preistorica dai nostri antenati”, elaborato in “Totem e tabu” del 1912-13.

Alla luce delle attuali conoscenze delle neuroscienze entrambi questi concetti sollevano delle rilevanti obiezioni.

Per quanto riguarda il concetto di “pulsione”, Freud afferma che questa ha una “fonte” somatica, che attinente a un funzionamento del corpo e che questa fonte invierebbe alla psiche un “rappresentante psichico” della pulsione (Psychisch Repræsentant). Si tratterebbe di una sorta di “delegazione” delle esigenze somatiche in questione.

Orbene, alla luce delle attuali conoscenze circa il funzionamento del cervello, non è possibile continuare ad aderire a questa visione delle cose. Ora sappiamo che il sistema  nervoso e quello endocrino non inviano al cervello segnali specifici, ma quello che arriva al cervello sono soltanto impulsi nervosi prodotti da stimoli percettivi e sensoriali provenienti dall’interno del corpo e dall’ambiente esterno. Nella fattispecie, la sola cosa che i nervi trasmettono al cervello è l’intensità degli stimoli, cioè la frequenza degli impulsi. Si tratta del principio di codificazione indifferenziato che codifica solo la frequenza degli impulsi e non “ che cosa” (Von Foerster 1985 pag. 121). Pertanto, è al livello cerebrale che gli impulsi nervosi sono “tradotti” o meglio sono “trasdotti”, perché si tratta di una trasformazione di stimoli somatici in contenuti psichici. Questo processo è comune a tutti i viventi, ovviamente per ciascuna specie questa trasformazione è in relazione al livello evolutivo che le è proprio. Il prodotto di questa operazione è la formazione di quelli che possiamo chiamare “schemi di azione”. Questi determinano il comportamento dell’animale in questione e li possiamo semplicisticamente definire: “istinti”. Essi sono al servizio della sopravvivenza dell’animale e della continuazione della specie, per cui possono essere definiti come “autoconservativi”. Nell’  homo sapiens sapiens, a causa del grande sviluppo della struttura cerebrale e delle sue funzioni, accanto a questo primo processo traduttivo, che abbiamo in comune con tutti gli animali, se ne attiva un altro. Questo traduce gli schemi di azione autoconservativi in “schemi di senso”. Questa operazione consiste nel fatto che i dati percettivi, visivi, uditivi, kinesici e kinestetici diventano “significanti” di un altro registro psichico, che appare più legato alla ricerca del piacere e dell’eccitazione e non semplicemente al soddisfacimento dei bisogni di sopravvivenza. Per questo motivo è legittimo definirlo “sessuale” anche se bisogna ricordare che non si tratta della sessualità genitale che si sviluppa all’epoca della pubertà ma della tendenza a una eccitazione primaria che , giustamente, Laplanche definisce come “sessualità allargata nel senso di Freud” (sexualité élargie au sens freudien) (Laplanche 2007).  E’ legittimo definire questo registro come “pulsionale” anche se, seguendo Widlöcher (1986), dobbiamo parlare di un “pulsionale senza pulsione” (pulsionnel sans pulsion) perché non si tratta di un funzionamento ascrivibile a quello che Freud riteneva fosse il funzionamento pulsionale. Possiamo immaginare l’attivazione di questo secondo funzionamento psichico come espressione di ciò che Freud definiva come processo dell  “appoggio” (Anlehnung) (Freud 1905 pag. 492-93), vale a dire dell’ipotesi che la sessualità si sviluppasse nell’infante appoggiandosi sul funzionamento dei bisogni dell’Io. Questo funzionamento, cosiddetto pulsionale, entra in conflitto con il funzionamento autoconservativo, determinando un primo conflitto psichico, tra le esigenze dell’autoconservazione e la spinta al piacere. In questo modo, mi sembra si recuperi la contrapposizione tra bisogni dell’Io e sessualità che era la contrapposizione immaginata da Freud all’epoca della prima formulazione della teoria del conflitto psichico e della prima topica.

Inoltre, il fatto che questo secondo funzionamento psichico sia orientato alla ricerca del piacere e non al soddisfacimento dei bisogni autoconservativi, determina un contrasto con le esigenze autoconservative. Per questo motivo, questa dimensione eccitatoria viene espulsa dalla coscienza o non le viene consentito l’accesso ad essa. E’ quella che possiamo chiamare “Rimozione originaria creatrice dell’inconscio”, in quanto è questo specifico registro psichico che costituisce ciò che noi comunemente chiamiamo L’inconscio.

Rispetto alla questione circa la formazione dei primi contenuti dell’inconscio e della loro articolazione reciproca, ora sappiamo che l’ipotesi di Freud che essi derivassero dalle tracce mnestiche di esperienze effettivamente vissute dai nostri antenati in epoca preistorica, non è sostenibile. Ora sappiamo che le esperienze della vita personale degli individui non si trasmettono alle generazioni successive. Soltanto il DNA si trasmette per via genetica. Sostenere la tesi di Freud significherebbe assumere una posizione lamarkiana che non è scientificamente sostenibile. Ritengo che le ipotesi fatte dal linguista americano Noam Chomsky, a proposito della nascita e della formazione del linguaggio umano ci possano dare utili indicazioni per cercare di comprendere la formazione dei contenuti dell’inconscio e la loro reciproca articolazione. Come sappiamo, Chomsky ha ipotizzato che, a causa dell’evoluzione della specie, il neonato umano è geneticamente dotato, non solo della capacità di apprendere il linguaggio verbale dell’ambiente nel quale vive i primi anni di vita, ma è anche in grado di incominciare a formulare delle frasi seguendo regole grammaticali che sono patrimonio comune di tutta l’umanità. Per questo motivo, benché le lingue parlate siano e siano state numerosissime, ci sono delle formulazioni grammaticali che non esistono in nessuna delle lingue esistenti e non fanno parte delle possibili formulazioni linguistiche. Questa capacità umana di costruire frasi secondo regole grammaticali universali è stata definita da Chomsky (1975), “grammatica generativa trasformazionale”. Partendo dalle ipotesi di Chomsky, altri autori hanno sviluppato l’ipotesi che lo sviluppo del linguaggio verbale sia una tappa evolutiva di uno sviluppo psichico, secondo il quale i primati e poi gli uomini hanno sviluppato una modalità di significazione e di comunicazione che va dalla mimica al gesto, per arrivare poi alla parola (Corballis 2008).  Alla luce di queste ipotesi sul processo evolutivo che ha portato alla nascita del linguaggio verbale, ho formulato l’ipotesi che già gli stimoli visivi, uditivi kinesici e kinestetici diventano dei significanti di valore universale per tutti gli umani. Soprattutto ho ipotizzato che ciò che è comune per tutti gli umani sono le regole, secondo le quali, tali significanti si articolano e si organizzano tra loro. A mio parere i prodotti di questa articolazione sono ciò che noi psicoanalisti definiamo come “Fantasmi Originari”. Tra questi, il fantasma della “Seduzione” risponderebbe al quesito circa il senso dell’eccitazione che, più sopra, abbiamo definito “sessuale”. Essa coglie l’infante, quale prodotto della traduzione degli stimoli sensoriali e abbiamo definito nascita del pulsionale la trasformazione degli “schemi di azione” in “schemi di senso”. Il fantasma della “Scena Primaria” risponderebbe al quesito circa l’origine, alla domanda “da dove vengo?”. Ovviamente anche questa questione è soggetta all’eccitamento sessuale. Infine, Il fantasma della “Castrazione” risponde al quesito circa la differenza tra i sessi con l’allegata valenza erotica che la accompagna. Infine, l’articolazione tra questi tre “fantasmi”, cioè schemi interpretativi delle situazioni somatiche e relazionali, determina ciò che chiamiamo “Complesso di Edipo”. Questo non è altro che una creazione immaginativa che “spiega” il senso della vita dell’individuo.

In base a quanto ho detto sono giunto alla conclusione di ritenere che l’inconscio sia un sistema semiotico-genetico e semantico-genetico, nel senso che è capace di creare significati  e interpretazioni di ciò che stimola il nostro apparato sensoriale e percettivo (Conrotto 2014).

Propongo un’ultima riflessione, essenzialmente di natura epistemologica, prima di chiudere questo mio intervento.

Alla luce di quanto è dato di comprendere sul funzionamento della mente inconscia, possiamo dire che sulla base delle ipotesi formulate dalle neuroscienze e dalla linguistica, ciò che noi chiamiamo “fantasie inconsce” sono degli schemi interpretativi degli stimoli esterni e interni. Pertanto, la conoscenza umana ha uno statuto congetturale e non una dimensione corrispondentista. Quindi, non possiamo dire che abbiamo una conoscenza oggettiva delle cose e del mondo ma solo una conoscenza che può raggiungere un certo grado di coerenza interna.

Concludo facendo un omaggio a Emanuele Kant che aveva affermato che il nostro processo conoscitivo si fermava al livello del “fenomeno”, lasciando sempre il “noumeno”, cioè la “cosa in sé”,  totalmente ignota. A duecentododici anni dalla morte del filosofo di Könisberg, la sua lezione è ancora valida.

 

Bibliografia 

Chomsky N. (1975) La grammatica trasformazionale, Boringhieri, Torino.

Conrotto F. (2014) Ripensare l’inconscio, Franco Angeli, Milano. v. anche recensione in SpiWeb

Corballis C. M. (2002) Dalla mano alla bocca, Raffaello Cortina Editore, 2008,

Freud S. (1905) Tre saggi sulla teoria sessuale, O.S.F., 5.

Freud S. (1912-13) Totem e tabu, O.S.F. 7.

Laplanche J. (2007) Sexual: la sexualité élargie au sens freudien, PUF, Paris.

Von Foerster (1985) Cibernetica e epistemologia: storia e prospettive. In  Atlan H. et al La sfida della complessità, Feltrinelli,Milano.

Widlöcher D. (1986) Métapsychologie du sens, PUF, Paris.

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