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Rocchi C. (2012). L’analista nel deserto

C.P.F. – Convegno su “IL SILENZIO IN PSICOANALISI” – 6 Ottobre 2012 Rocchi C. L’analista nel deserto

Tracce per l’intervento

Definire un deserto non è facile. A partire dai geografi dell’antichità fino ai grandi esploratori del XIX e XX secolo, sono stati innumerevoli i tentativi di descriverlo e definirlo. In molte lingue, come italiano, francese, inglese, deriva dal latino desertum, che significa luogo disabitato e non ha nulla a che vedere con l’aridità e la mancanza di precipitazioni. Lo stesso valga per il tedesco wust .

I geografi moderni tendono ad essere più precisi. E utilizzano definizioni quali: “un deserto è una regione in cui, a causa di precipitazioni deboli o addirittura inesistenti, la vegetazione è scarsa o molto rada”. Nondimeno il termine deserto continua ad essere vago dal momento che designa paesaggi molto diversi tra loro; si va dal TAZENROUFT (laggiù dove non c’è nulla) nel Sahara algerino al Kalahari (Afr. Merdid. , tra Botswana, Zimbabwe, Namibia , Sudafrica, )con i suoi tanti alberi e arbusti; d’altronde nel corso dei miei viaggi ho potuto constatare che esistono innumerevoli aree che sono realmente deserte ma che non sono definite come tali. Qualcuno parla del deserto del Ladakh? Eppure in questa regione sul lato sottovento dell’Himalaya, cadono meno di 100 mm di pioggia l’anno. Già infatti un parametro classicamente utilizzato per definire una terra desertica è quello pluviometrico; la definizione sotto lo conferma:

desèrto :

nella geografia fisica, grande estensione di terreno arido, incoltivabile e spopolato, caratterizzato da una precipitazione annua minore di 200 mm; ha vari aspetti (per es., sabbioso, roccioso, dunoso, ghiaioso, ecc.). ◆ Dizionario delle Scienze Fisiche (2012); ma strettamente agganciata a questo parametro c’è quello della evaporazione; ed è la formula, semplice, proposta dal Penck per caratterizzare il clima arido: evapotraspirazione maggiore delle precipitazioni (s’intende considerando un periodo sufficientemente lungo).

  1. Silenzio: da silentium, che proverrebbe secondo Sesto Pompeo Festo (grammatico latino del II sec dc) dalla s prolungata con cui si chiede di tacere; per altri deriverebbe dal sanscrito si-nomi o si-nami, legare; che legherebbe? Potrebbe, in quanto dal silenzio viene favorito l’ascolto e quindi il dialogo, legare gli uomini tra loro e/o alla natura

  1. desèrto [Der. del lat. desertum, part. pass. di deserere “abbandonare, lasciare in abbandono”, v. l’italiano disertare, comp. della part. DE che dà senso contrario e SèRERE connettere, annodare, quasi dica che non ha punto di connessione, cioè vuoto di ogni cosa]

  • Talora usiamo i termini silenzio e deserto per richiamare la stessa dimensione eppure la loro etimologia sembra divergere: silenzio starebbe per ‘ciò che lega’, deserto per ‘ciò che non ha connessione’;

In realtà si tratta di dimensioni antropologiche non solo non alternative ma complementari e irrinunciabili.

Il silenzio consente un passaggio sinergico, dunque lega, riflessioni e azioni, infatti:

–       1) nel silenzio si entra in contatto con l’intimo, il soggettivo, il privato, lo spirituale (nostro e altrui)  e questo contatto apre alla scoperta

–       2) forse solo il silenzio mette a frutto la scoperta per la sua capacità quasi esclusiva di tenere insieme sensi e intelletto, sensazioni e idee.

In questa accezione il silenzio è connessione prodotta mediante l’ascolto di sé e dell’interlocutore; come tale va a doppio risultato, quello di una maggiore consapevolezza e quello di dare riconoscimento a chi ascoltiamo (compresi noi stessi).

D’altra parte c’è un altro silenzio che più richiama l’immagine di deserto quale luogo che non ha connessione: è quel silenzio che si qualifica per non andare ad alcun risultato; è dove ansie, interrogativi, emozioni possono dipanarsi senza l’obbligo di risolversi.

In questo senso la dimensione del silenzio è una dimensione temporale perché il silenzio che non ‘pretende’ risultati si avvale del tempo presente, non ancorato al prima, non incalzato dall’imminente.

È il silenzio che ci predispone al nulla, dunque, all’essenza.

Qualcuno ha scritto che “silenzio è tacitare il narcisismo delle nostre opinioni”, che “il vero silenzio sorge dove si cessa di avere opinioni, anche sul silenzio”.

Esente da certezze e autoconferme, si può intuire come questo silenzio costi se si è soliti affidarci a categorie logiche da cui attendere risposte celeri e rassicuranti.

  • È a questa seconda accezione di silenzio-deserto che io mi richiamo in relazione alla mia esperienza di analista che frequenta i deserti

Il silenzio-deserto, in quanto tale, è indisponibile ad essere socializzato o anche solo raccontato. Questo almeno il sentimento con il quale mi trovo qui a trattarne.

  • Il riserbo che richiedono certe esperienze profonde è a dirci la legittimità, anzi la necessità di sottrarre allo svelamento certe parti di sé, a tutela della loro integrità. Ciò evidentemente anche in un contesto di cura come quello della psicoanalisi.

 

  • Salvo dover riconoscere alla persona una zona di silenzio off-limits, la psicoanalisi può, a ragione, occuparsi del silenzio-deserto come spazio dove ha cittadinanza il mistero; l’essere umano è difatti sempre alla ricerca della comprensione , ma nella psicoanalisi, come nel deserto, trova il mistero, di sé; la psicoanalisi si muove, a mio avviso, infatti, non solo e non tanto verso la risoluzione dei misteri, quanto verso la ricerca di un incontro ravvicinato con le nostre parti misteriose, inconsce, verso per dirla con Bion, l’O. Il pensiero oscuro, sognante, associativo, la rêverie, sono allo stesso tempo forme di pensiero che la psicoanalisi indaga e forme di pensiero con le quali indaga. Il mezzo e l’oggetto si sovrappongono; così come il mio andare per deserti può essere al contempo un mezzo e un oggetto ( il deserto come mezzo per incontrare il mistero, il deserto oggetto di mistero); e così è per il silenzio: mezzo e oggetto (lo creiamo o lo cerchiamo per avvicinarci al mistero, lo sperimentiamo come mistero).

Per comunicare almeno in parte la mia esperienza ricorro alla potenza comunicativa delle immagini, in una presentazione pp in cui ho associato mie fotografie a citazioni sul silenzio-deserto che sono in risonanza con quanto sperimentato.

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