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Recensione di Raffaella Tancredi a “Il bambino che non diceva nulla” di Laurent Danon Boileau

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Tradotto dalla seconda edizione uscita in Francia nel 2010 (la prima risale al 1995) il libro di Danon Boileau “Il bambino che non diceva nulla” è ora disponibile anche in italiano (ediz. Mimesis, 2014), curato da Alessia Tomaino e con una prefazione di Marco Mastella. L’Autore si presenta in questo testo come psicoanalista, linguista e romanziere, confessando la sua impossibilità a definirsi in un unico registro e paragonandosi a un rospo cui non si può chiedere di scegliere fra l’acqua e la terra ferma. Seguendo questa suggestione direi che L. Danon Boileau ci parla di habitat diversi in cui il suo pensiero, che affonda le radici nell’amore per il linguaggio, si sviluppa e fonda una prassi terapeutica originale per bambini con difficoltà linguistiche di varia natura.

È possibile ritrovare nel suo lavoro anche gli echi di una psichiatria infantile come quella francese, fortemente ancorata a una prospettiva  psicoanalitica, e da sempre  interessata agli intrecci fra disturbi strumentali (disturbi del linguaggio, della motricità, deficit cognitivi) e psicopatologia.

L’Autore si propone, infatti, di studiare il linguaggio e le difficoltà che possono ostacolarne lo sviluppo esplorando la relazione dinamica fra asse cognitivo, asse afasiologico (linguistico propriamente detto) e simbolico, quest’ultimo l’unico accessibile allo psicoanalista, ma non solo a lui: “La simbolizzazione si riferisce alla rappresentazione dell’assenza, alla metafora, e concerne tanto il linguista quanto lo psicoanalista anche se, ovviamente, i loro approcci rimangono diversi”.

Protagonista del testo è la storia dettagliata della terapia di alcuni bambini con problemi di linguaggio.  La terapia appare regolamentata da costanti temporali: i bambini sono visti con una frequenza settimanale di tre volte il primo anno, due volte il secondo, una volta il terzo anno. Eliminate le difficoltà della parola, può però proseguire oltre, affrontando in maniera più ampia i problemi psicologici.

Attraverso una felice combinazione di creatività e metodo basato sulla sua formazione psicoanalitica ma informato, in modo che mi pare sostanziale, dalle sue conoscenze in ambito psicolinguistico, Danon Boileau accompagna i suoi piccoli pazienti ad acquisire un linguaggio che definisce ” di qualità”, un linguaggio che magari conserva alcune imperfezioni sul piano formale, ma che appare ” abitato”, usato nella sua funzione più vera di ” dire l’invisibile a partire da un visibile condiviso”.

L’autore ben evidenzia la difficoltà di muoversi su tre registri differenti nel corso della seduta, ritrovando tuttavia la centralità dell’approccio psicoanalitico dal momento in cui la seduta acquisisce una certa continuità. E’ decisivo, ci dice, rimanere sensibili al susseguirsi degli avvenimenti durante l’intervento terapeutico e sforzarsi di cogliere il nesso che si può stabilire tra eventi apparentemente eterogenei. Proprio come “durante la seduta di analisi ciò che ha un senso non sono né quel particolare momento né il valore che gli si può attribuire indipendentemente dagli altri….ad avere un senso é il susseguirsi degli avvenimenti.”, con particolare riguardo a quanto accade in risposta all’intervento del terapeuta (“L’ascolto dell’ascolto” di H. Faimberg).

 

 

L’Autore definisce il proprio modo di stare con il bambino, fino a un certo punto, come quello di una “tata sonnolente” che osserva, commenta, rimanendo disponibile a lasciarsi sollecitare a una partecipazione più attiva, a farsi  “gomitolo fra le zampe di un gatto”. Egli descrive come ha in seguito capito l’importanza di un intervento riabilitativo più esplicito, avanzando tuttavia dei dubbi sul fatto che un bambino possa tollerare il passaggio da un registro a un altro e concludendo quindi per l’opportunità  che siano  operatori diversi   a trattare il bambino con tecniche, approcci e in contesti diversi.

La lettura del materiale clinico tuttavia ci restituisce l’immagine di un terapeuta ben attivo e partecipe. L’Autore stesso s’interroga, significativamente, sulla  diversità del proprio approccio rispetto a  quello degli altri,  rintracciando la specificità del suo lavoro di psicoanalista nell’ascolto del controtransfert e nel lavoro psichico che ne risulta.

Il lavoro del controtransfert e “l’ascolto dell’ascolto” appaiono quindi punti di repere fondamentali per riconoscere la qualità psicoanalitica degli interventi terapeutici che Danon Boileau ci racconta con stile narrativo più che saggistico, uno stile piano, atto a contenere e temperare la passione per il proprio Oggetto.

Un libro utile, ritengo, per tutti coloro che lavorano con i bambini, che vi troveranno non certamente un metodo, ma possibilità di riconoscersi in alcune esperienze e di rifletterci con l’Autore, rintracciandone  un senso  possibile.

 

Novembre, 2014

 

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