Psicoanalisi e dintorni
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ARCHEOLOGIA DELLA MENTE

“ARCHEOLOGIA DELLA MENTE. ORIGINI NEUROEVOLUTIVE DELLE EMOZIONI UMANE” di Jaak Panksepp e Lucy Bivin. Recensione a cura di Elisabetta Bellagamba (Raffaello Cortina Editore, 2012)        

 

Il libro offre un tentativo di fornire una tassonomia fondata empiricamente per la discussione dei fondamenti della vita emotiva offrendo diversi esempi dell’importanza di specifiche funzioni cerebrali nella vita affettiva. Nello specifico il lavoro di Panksepp e Bivin cerca di mettere in luce il modo in cui gli affetti emotivi primitivi abbiano origine da circuiti neuronali antichi, situati in regioni cerebrali che sono collocate sotto la neocorteccia, attraverso un approccio triangolare che tiene conto del livello neuronale, di quello mentale e dell’analisi comportamentale. In particolare viene tenuto conto: 1) degli stati mentali soggettivi  2) delle funzioni cerebrali 3) dei naturali (istintivi) comportamenti emotivi che i mammiferi devono mostrare per poter sopravvivere. Tuttavia, come scrivono gli autori, “la conoscenza acquisita attraverso tale metodo di triangolazione non spiega la complessità dell’esperienza affettiva nella sua interezza per come si dispiega nella vita reale” (p.36).

Gli autori sostengono che le regioni antiche sottocorticali del cervello dei mammiferi contengono almeno sette SISTEMI AFFETTIVI DI BASE: il sistema della RICERCA (attesa), quello della PAURA (ansia), della COLLERA (rabbia), del DESIDERIO SESSUALE (eccitazione sessuale), della CURA (accudimento), del PANICO/SOFFERENZA (tristezza) e del GIOCO (gioia sociale).

Da tali antiche regioni prende corpo quella che, Panksepp e Bivin, definiscono la mente affettiva. Infatti, proprio in queste aree sotto-corticali, sostengono gli autori, che si trova un “tesoro archeologico” (p. VIII) che abbraccia le origini dei nostri affetti.

A questo proposito vengono differenziati i processi primari da quelli secondari e terziari. I primi si riferiscono alle attività neuronali di base espresse dalle antiche strutture cerebrali da cui hanno origine le emozioni di processo primario grezze, mentre i processi secondari sono i prodotti dei primi apprendimenti, modificazioni neurali esito del contatto con l’ambiente, codificati da strutture filologicamente più recenti. Infine i processi terziari rappresentano l’evoluzione della neocorteccia che si esprime con le funzioni cognitive e quelle riflessive che comprendono l’elaborazione, anche dei sentimenti. Nello specifico, nel loro lavoro, vengono enucleate: 1) le esperienze psicologiche di processo primario, le risposte emotive-istintive che generano i sentimenti affettivi grezzi; in seguito all’apprendimento e alla memoria si hanno i processi secondari del cervello, come ad esempio il condizionamento alla paura, tali processi cerebrali intermedi, ritiene Panksepp, sono inconsci; al vertice del cervello, si trovano i processi terziari che sono tutti quei processi mentali di livello superiore, come la cognizione e i pensieri, che permettono di riflettere su ciò che è stato appreso dalle esperienze vissute.

I sentimenti di base, pertanto, rappresentano degli strumenti evolutivi per vivere e partendo da essi che si generano le emozioni di livello superiore come l’orgoglio, la vergogna, il senso di colpa. Infatti, l’ipotesi centrale degli autori è che i sentimenti emotivi e le loro espressioni comportamentali spontanee sorgono dagli stessi antichi sistemi neuronali. Ossia, i poteri affettivi delle emozioni umane di ordine superiore poggiano le loro fondamenta sull’antico terreno neuronale da cui sorgono gli affetti di processo primario.

Il cervello rettiliano, riportano gli autori, sembra essere organizzato in modo che gli stati affettivi primitivi prevalgono in ogni momento e che i processi cerebrali di livello superiore possono elaborarli riducendoli, o meglio, contenendoli.  Per tale motivo che la psicoterapia diviene un ottimo strumento di lavoro con il fine di apportare un aumento della “complessità all’apparato mentale superiore che permette di essere padroni delle proprie passioni grazie alla comprensione delle forme mentali inferiori” (p XV). Infatti, l’attivazione della corteccia tende a riflettere la diminuzione nell’intensità dei sentimenti. Essa si trova a un livello basso quando la mente è invasa da sentimenti emotivi mentre si alza di livello quando l’intensità dei sentimenti decresce. Ciò suggerisce, secondo Panksepp, che l’attività del cervello superiore tende a inibire la risalita dei sentimenti dalle regioni cerebrali inferiori. Sappiamo, infatti, da precedenti ricerche, come gli animali decorticati presentano un iperemotività e allo stesso tempo sappiamo, pure, che gli essere umani quando riflettono sulle proprie emozioni attivano la regione mediale frontale. A questo proposito possiamo connettere tali ricerche con la teoria bioniana che pone molta importanza alle emozioni e all’inestricabile intreccio con il segno linguistico che veicola significati, sottolineando l’essenza della parola come significante (Mancia, 2004). Infatti, tutta l’opera di Bion si concentra su come la mente si formi, trasformando la sensorialità: dagli elementi beta agli elementi alfa, e da questi ad altri elementi mentali progressivamente più articolati, secondo la nota griglia. Senza soffermarsi sul linguaggio matematico astratto utilizzato, Bion ha messo in luce un modello che sottolinea come dalla realtà esterna provengono degli stimoli che permettono al soggetto di poterla apprendere aprendo una concezione analoga allo studio del mentale da parte degli sperimentalisti (Cena e Imbasciati, 2014). Le ricerche di Gallese sui neuroni specchio confermano quanto teorizzato da Bion e da altri psicoanalisti, in particolare la capacità dell’individuo di assimilare, imitare, lo stato di un’altra persona che richiama la capacità di reverie di bioniana memoria. 

Da tali accenni, possiamo notare come le neuroscienze e la psicoanalisi hanno in comune vari campi di interesse in cui ciascuna disciplina può aprire nuove prospettive all’altra tenendo a mente, come presupposto, per evitare confusioni epistemologiche, che ognuna ha il proprio metodo. Infatti, come specificano Cena e Imbasciati (2014), ma anche Solms (2017), alla base delle stesse ci sono due diverse logiche che guidano queste indagini: la logica della spiegazione, alla base delle neuroscienze, e una logica della comprensione, che caratterizza la psicoanalisi. Occorre procedere, in questo ambito, secondo il concetto, postulato da Solms e Turnbull (2005), di monismo dal duplice aspetto percettivo che esplicita come l’ottica dipende da quali superfici percettive, se interna o esterna, prendiamo in esame. Se guardiamo la mente attraverso la superficie esterna vediamo un cervello, se, invece, la osserviamo partendo da una superficie percettiva interna scopriamo l’esistenza degli stati mentali. Pertanto, l’oggetto di studio, se viene accettato tale presupposto filosofico, è inquadrato da entrambe le prospettive cercando di studiare i correlati neurobiologici delle esperienze soggettive. Ad esempio le emozioni possono originarsi da un conflitto psichico (non individuabile in strutture anatomo-funzionali) ed esprimersi attraverso circuiti neurologici conosciuti che interessano aree corticali e nuclei del sistema limbico (Cena e Imbasciati, 2014).

Da tale interazione nel 1999 è nata una nuova branca la neuropsicoanalisi di cui Solms è il promotore, i cui fondamenti scientifici sono le neuroscienze affettive e la teoria psicoanalitica.

Il lavoro di Panksepp, come scrivono Cena e Imbasciati (2014), è di interesse estremo in quanto fornisce un fondamentale contributo sulle esperienze emozionali precoci che condizionano profondamente lo sviluppo del cervello e della personalità del bambino in quanto apportano dei cambiamenti nell’economia mentale. Tale ipotesi è stata più volte avvalorata dalle teorie psicoanalitiche e riceve conferma dalle ricerche recenti di neuroscienze. Infatti, le influenze e le esperienze precoci possono esercitare un importante contributo a livello cerebrale, promuovendo fattori di crescita o la secrezione di varie molecole, tra cui il glutammato, in risposta a stimoli ambientali. Questi possono avere una grande importanza nel modulare la “plasticità” del sistema nervoso centrale. Le esperienze ambientali precoci possono influenzare l’organizzazione di specifiche reti neurali interferendo quindi con la loro abilità di selezionare e controllare il comportamento. Pertanto, le influenze sociali,emozionali e ambientali precoci esercitano effetti organizzanti significativi sul cervello e sugli aspetti intellettuali, sociali ed emozionali dello sviluppo (Mancia, 2007).

In sintesi, i dati delle neuroscienze sono coerenti con le intuizioni della psicoanalisi, in particolare: 1.Il ricordare non è l’attivazione di un’informazione statica immagazzinata, ma un processo altamente dinamico di ricategorizzazione nel “qui e ora” del transfert; 2.Il ricordare dipende dall’interazione sistema-ambiente (dialogo interno o reale con gli oggetti) e dunque dall’ “incorporazione”. È un processo sensomotorio, non solo interno (nel senso di puramente mentale),perché anche durante il processamento interno esistono stimolazioni sensomotorie; 3.Il ricordare dipende perciò dalla costruzione di “verità narrative” nelle relazioni oggettuali reali o rese tali. Nello stesso tempo, può essere considerato un processo costruttivo e creativo di avvicinamento alla “verità storica”; 4.La memoria ha sempre un aspetto soggettivo e un aspetto oggettivo. L’aspetto soggettivo è dato dalle costanti interpretazioni della propria storia, l’aspetto oggettivo dalle configurazioni neurali generate dalle interazioni sensomotorie con l’ambiente; 5.Il ricordare è il presupposto di un processo di ricategorizzazione delle esperienze traumatiche inconsce, e dunque di una modificazione strutturale del comportamento (ivi, p. 94).

A questo proposito Panksepp, nel suo lavoro, sostiene che i ricordi non sono solo soggetti a processi dinamici di consolidamento ma sono anche affetti da riconsolidamento. Questo significa che quando ci serviamo dei nostri ricordi, e i ricordi di conseguenza ritornano in una modalità attiva, essi possono essere rimodellati e poi riconsolidati in forme che sono diverse rispetto ai ricordi originali. Tali ricordi ricostruiti tipicamente includono l’informazione su nuovi contenuti emotivi che non erano presenti quando il ricordo originale si è consolidato. Perciò, i vecchi ricordi divengono temporaneamente instabili quando sono richiamati in contesti nuovi e sono rielaborati di conseguenza. “Anche se Freud non sapeva nulla di tali meccanismi cerebrali sembra che fosse piuttosto consapevole del fatto che i processi della memoria operassero in questo modo quando conio il termine NACHTRAGLICHKEIT ritrascrizione per descrivere il tipo di processo mentale che è caratterizzato da temporalità e costruzioni psichiche” (p. 239).

Tali scoperti aggiuntive convalidano nuovamente ciò che Kandel (2007) ha sottolineato che la psicoanalisi implica una modalità controllata di apprendimento nel contesto della relazione terapeutica che contribuisce come ogni altro stimolo esterno e interno al rimodellamento delle connessioni sinaptiche attraverso le memorie implicite,  sollecitando una maggiore integrazione tra le aree e le funzioni cerebrali, mediante il ripristino delle potenzialità sinaptiche alterate dalle esperienze, anche, traumatiche.

 

 

BIBLIOGRAFIA

Cena, L., & Imbasciati, A. (Eds.). (2014). Neuroscienze e teoria psicoanalitica: verso una teoria integrata del funzionamento mentale. Springer Science & Business Media.

Mancia, M. (Ed.). (2007). Psicoanalisi e neuroscienze. Springer Science & Business Media.

Mancia, M. (2004). Sentire le parole: archivi sonori della memoria implicita e musicalità del transfert. Bollati Boringhieri.

Kandel, E. R. (2007). Alla ricerca della memoria. Codice Edizioni

Solms, M. (2017). Cosa prova il cervello: scritti di neuropsicoanalisi. Astrolabio Ubaldini

Turnbull, O., & Solms, M. (2005). Il cervello e il mondo interno.

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