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Capuano M. (2013). Stalking: tra delirio e perversione.

Relazione presentata al seminario di Formazione Psicoanalitica “Trauma, dissociazione, perversioni. Teoria e Tecnica”. Sabato 16 Nov. 2013

Aula Magna della Scuola Superiore S.Anna. Piazza Martiri della Libertà, Pisa.

 

Il termine in italiano si può tradurre con “Molestie Assillanti”, ma la parola inglese comunemente usata indica con maggiore precisione l’attività che contraddistingue il fenomeno; fare la posta, braccare che comprende appunto l’aspettare, l’inseguire, l’appostarsi, il raccogliere informazioni sulla vittima, sui suoi spostamenti, insomma una vera e propria caccia, una attività continua e ripetuta. Lo stalker è colui/colei che mette in atto questi comportamenti su una vittima prescelta, che può essere sia conosciuta che no, con comunicazioni intrusive e/o comportamenti intrusivi reiterati nel tempo che producono nella vittima un grave stato di ansia e paura fino alla cronicizzazione con peggioramento sintomatologico e restrizione della vita. In una escalation la situazione, che è già violenta di per sé, può sfociare in alcuni casi nell’aggressione fisica della vittima

Oggi lo stalking sembra allargarsi sempre di più ad aree per lo meno apparentemente estranee alla sfera psichiatrica, e questo sembra imputabile ai cambiamenti della società odierna, soprattutto nella sfera relazionale (per es.della relazione di coppia), sia ai cambiamenti dovuti alla tecnologia della rete.

Ho sempre pensato che il fenomeno dello stalking nascesse e si alimentasse all’interno di un delirio erotomanico, legandolo come ha fatto la psichiatria alla relazione tra il comportamento e la psicopatologia del molestatore. Insomma un delirio di tipo passionale, che insieme a quello di rivendicazione e gelosia, è classificato all’interno del Disturbo Delirante sull’Asse 1 del DSM 4.

Alcuni Autori dividono grosso modo gli stalkers in due gruppi, sostanzialmente in base alla presenza o meno di un disturbo psicotico, che trovano quindi collocazione diagnostica nei vari disturbi sull’asse 1 del DSM( essenzialmente condizioni psichiatriche, come Schizofrenia, Deliri, Psicosi Affettive ed Organiche) così come anche sull’asse 2 del DSM.

Tra i disturbi di personalità più menzionati c’è il Disturbo di Personalità Bordeline, dove il problema legato alla separazione e all’abbandono è determinante: ma questo sembra riflettere la stessa indeterminatezza che accompagna il termine borderline. L’esigenza di far rientrare gli stalkers in una categoria diagnostica precisa e comunicabile ha a che fare più con i procedimenti penali e relative sanzioni previste giustamente dal codice penale che non con la possibilità di comprensione ed eventuale cura-prevenzione di questo comportamento che a parte linee generali è tutt’altro che omogeneo. L’indeterminatezza di tutti i concetti al limite, in questo caso tra nevrosi e psicosi, si fa ancora più rilevante quando si cerca di inquadrare quello che sembra essere invece una costante di questa società, e cioè l’inflazione di quadri soggettivi dominati dalla tendenza ad agire, fondamentale anche nella perversione, dove manca la capacità di simbolizzazione o mentalizzazione, e dove, come dice M.Recalcati ma anche altri, ci troviamo di fronte a soggetti “narcisisticamente fragili dove non c’è più l’organizzazione metaforica del sintomo ma la disorganizzazione pulsionale di un soggetto smarrito nel vuoto e nell’insensatezza”. E questo chiama in causa più i nuovi disagi della civiltà che categorie diagnostiche o meglio mette in evidenza sempre più l’interazione tra sfera psichica e sociale.

Sebbene io pensi che la funzione dello psicoterapeuta o psicoanalista non sia specificatamente quella diagnostica, e che la diagnosi non deve diventare a sua volta un feticcio,un oggetto assoluto, il problema psicodiagnostico qui si pone principalmente per due motivi:

Primo: Gli stalkers non ci consultano spontaneamente perché sentono un disagio o una sofferenza, del resto come i perversi; il loro comportamento è egosintonico. In genere ci vengono inviati per questioni legali.

Secondo: il fenomeno è trasversale sia dal punto di vista sociale che psicopatologico e può presentarsi con una costellazione di condotte assai eterogenee .

Ad oggi comunque forse lo studio più completo è quello di Mullen e coll. (1999) frutto di una complessa disamina di numerosi stalkers che ha cercato di delinearne almeno un profilo psicologico.

Vengono così divisi in 5 categorie:

  1. Il RISENTITO, colui/ei che mette in atto questo comportamento in quanto ritiene di aver subito un torto o un danno e quindi vuole vendetta. Spesso sfociano in vere e proprie aggressioni fisiche, e spesso le vittime sono conosciute dallo stalker o sono state in qualche modo in relazione con la vittima magari anche in un lontano passato.
  2. Il /La BISOGNOSO DI AFFETTO, che desidera convertire un normale rapporto quotidiano in una relazione sentimentale cercando di convincere l’altro a cedere a questa sua pretesa iterando comportamenti intrusivi
  3. IL RESPINTO, rifiutato dalla vittima e che non riesce ad accettare questo rifiuto e che può arrivare più frequentemente ad avere comportamenti violenti fino all’omicidio.
  4. IL PREDATORE, con motivazione tipicamente sessuale, che trae eccitazione dalla paura che incute e attraverso cui esercita il controllo della vittima. Questi sono prevalentemente perversi veri e propri.
  5. Poi ci sarebbero I CORTEGGIATORI INCOMPETENTI, le cui molestie durerebbero poco tempo e che cambierebbero spesso vittima iterando la loro incompetenza e che difficilmente arrivano a gesti estremi

Come si può capire questi profili psicologici ,per la loro sinteticità e genericità,

anche se utili ad un approccio multidisciplinare, ci confermano che gli stalkers presentano una così larga gamma di comportamenti e tratti psicologici e psicopatologici che è molto difficile farne degli inquadramenti diagnostici se pur generali, ogni caso è come sempre un caso a sé. Così come l’intervento terapeutico o preventivo, che può spaziare spesso integrandoli, dall’intervento psicoeducazionale a quello farmacologico e psicoterapico .

 

In linea di massima comunque anche dai profili psicologici si evince che una gran parte degli stalkers soddisfa i criteri del disturbo narcisistico di personalità. Genericamente faccio riferimento alla definizione di Gabbard, che accomuna nell’incapacità di amare, nella difficoltà nelle relazioni oggettuali la popolazione narcisista, dividendoli in due tipi, inconsapevole e ipervigile,che poi corrispondono alla suddivisione di Rosenfeld in narcisisti a pelle spessa e a pelle sottile, ponendo l’accento sulla problematica inerente all’area della identità personale e nella difficile regolazione dell’autostima. (vedi Sandra Filippini) che però ha trattato di violenza psicologica nella coppia nel suo libro “Relazioni Perverse”. Nei primi si evidenziano soprattutto arroganza e aggressività, nei secondi un senso di vulnerabilità e di fragilità di fronte alle possibili e forse inevitabili frustrazioni narcisistiche. Seguendo il filo di alcuni autori, tra cui Franco De Masi, le vicissitudini dell’aggressività andrebbero indagate ancor di più che quelle sulla sessualità,

L’elemento aggressività fino alla distruttività accomuna i paz. narcisisti sia ai paz. borderline che ai perversi che agli antisociali,. Se in linea di massima i perversi vei e propri corrispondono al tipo IL PREDATORE, per gli altri più in generale parlerei di perversità, cioè una funzione mentale che potrebbe avere la tendenza ad organizzarsi in una vera e propria perversione.

 

Lo stalking sta sicuramente ad evidenziare una patologia della relazione, ma soprattutto della Comunicazione alla cui base c’è un “malinteso originario”, che va dalla convinzione delirante dell’erotomane di essere amato, alle conseguenze di una rottura di una storia sentimentale, alle situazioni di non chiarezza in alcune situazioni professionali. E’possibile che questo aspetto abbia subito un incremento con la comunicazione in rete.

Forse possiamo convenire insieme a Curzi, Galeazzi e Secchi, curatori di un libro sullo Stalking al quale rimando, che questo fenomeno sta proliferando sempre di più in una società dove l’altro è sempre più estraneo.

Sicuramente una parte degli stalkers cerca di mettere in atto il tentativo di molti uomini (la maggior parte degli stalkers sono uomini, circa l’80%) di ristabilire con la forza e la prevaricazione sulle donne il loro ruolo tradizionale di accondiscendenza e accettazione, come a voler ristabilire un certo ordine. Ma comunque questa, di affermazione del potere maschile sulle donne attraverso modalità violente ed intrusive,sembra costituire oggi solo lo sfondo di atteggiamenti e comportamenti le cui motivazioni anche psicopatologiche hanno bisogno di essere comprese ed indagate.

Quello a cui bisogna prestare sempre più attenzione oltre ai meccanismi di scissione e di diniego che fanno da padrone , oltre alla tendenza all’acting fino alla violenza, dove l’agire sta al posto del pensare e il ripetere al posto del ricordare, è alla “disaffectation” termine coniato da J. McDougall ad indicare quello che spesso vediamo nei nostri studi, e cioè un’evacuazione dalla psiche di ogni rappresentazione mentale che soltanto evochi gli affetti, per sopprimere ogni possibile sofferenza consapevole. Questo non avviene solo come conseguenza di gravi traumatismi, ad es. il grave abuso sessuale, ma piuttosto sembra far riferimento ai ripetuti micro-traumatismi dovuti ad errori di comunicazione di chi si prende cura del bambino, con segnali affettivi contraddittori, e nella confusione dei ruoli dei cargivers. Cioè nell’incapacità di instaurare un dialogo affettivo, simbolico e interattivo sufficientemente integrato.

La necessità di una diagnosi caso per caso, sempre auspicabile, in questi casi è ancor più motivata: poiché gli invii sono frequentemente legati ad azioni legali, vi è la tendenza ad utilizzare la psicodiagnostica del DSM : io in due casi ho utilizzato colloqui-interviste semistrutturate, che mi hanno permesso di soddisfare sia le richieste legali e pratiche sia di progettare anche con i famigliari e con il paziente la necessità di una psicoterapia dinamica.

All’inizio la richiesta di informazioni ha riguardato principalmente la vita attuale del paziente, il suo adattamento professionale, la vita sentimentale, le esperienze sessuali, la famiglia di origine insieme agli elementi degli aspetti del comportamento che son sembrati strani, fuori dall’ordinario anche sul piano verbale durante l’intervista. Nella seconda parte, più libera, ho cercato di approfondire tematiche che erano risultate particolarmente rilevanti, in un caso concentrandomi su un breve sogno che la paziente aveva portato;

sollecitata credo dal fatto che ci eravamo soffermate su una problematica corporea più generale, dove il corpo sembrava diventare uno strumento neutro, un utensile da utilizzare per arrivare a ciò che si vuole. Cosa assai diversa dal desiderio!

E questo ha permesso di impostare anche un progetto terapeutico con i genitori, non empatici ma altamente “controllanti” ,che attraverso l’agito “stalking”della figlia hanno potuto iniziare a ripensare il loro rapporto con una ragazzina considerata “ipernormale”ma che attraverso questo comportamento ha potuto esprimere un suo sempre più ingravescente disagio.

 

 

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