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Ponsi M. (2003). Narcisismo e perversione relazionale

Testo della relazione di M.Ponsi al terzo seminario su “I Profili clinici del narcisismo” (organizzato dal C.P.F. presso il Convitto della Calza, 22 febbraio 2003) che pubblichiamo per gentile concessione dell’Autrice

Con questo terzo seminario della serie sul narcisismo intendiamo portare l’attenzione su un aspetto della patologia e della dinamica narcisistica che si manifesta con comportamenti perversi. Cercheremo cioè di vedere come una persona possa mantenere il suo equilibrio narcisistico manipolando e maltrattando un’altra persona.
Non sempre gli aspetti perversi della personalità del soggetto narcisista sono stabili e ben identificabili. In molti casi questa qualità perversa è occasionale, e comunque molto sottile e percepibile solo da chi è intimamente coinvolto nella relazione con il soggetto narcisista. Più che di veri e propri comportamenti perversi dovremmo dunque parlare di una relazionalità perversa, e cioè di modi perversi di mettersi in rapporto con gli altri.
Diciamo subito che il legame fra narcisismo e perversione non è affatto nuovo: innumerevoli sono gli autori che lo hanno trattato – intendendo per perversione un comportamento sessuale perverso.

Ma noi qui non parleremo di perversione sessuale. Noi parleremo di perversione relazionale, riferendoci con ciò a relazioni d’oggetto che possono dirsi “perverse” in senso lato, al di là dell’ambito strettamente sessuale. In tali casi la dimensione di “perversione” (o meglio di “perversità”) della relazione patologica si riferisce al fatto che alla base della perversione relazionale c’è l’uso di un tipo di difesa che fu inizialmente individuata nelle perversioni sessuali.

Va segnalato che – pur essendoci nella letteratura sul narcisismo una notevole quantità di riferimenti ad aspetti perversi, e parimenti nella letteratura sulla perversione una notevole quantità di riferimenti alla dinamica narcisistica ad essi sottesa – tuttavia non è mai stata individuata una precisa sindrome, o una specifica psicopatologia, definita “perversione relazionale”. Certamente questa dizione non si trova nè nel DSM, nè in altre classificazioni diagnostiche. In realtà quanto appena detto non è del tutto preciso, perchè l’espressione “perversione relazionale” è stata usata qualche anno fa da A.M.Pandolfi (1999) la quale usa questa espressione praticamente come sinonimo di “perversione narcisistica” – espressione usata da Racamier (1992) per riferirsi ad un’area psicopatologica analoga.

In questo seminario procederemo nel modo seguente: nella prima parte daremo un inquadramento generale delle strutture psicopatologiche narcisistiche e perverse, e nella seconda ci serviremo di materiale clinico per illustrare il funzionamento della dinamica narcisistico-preversa.

Se il concetto di narcisismo è uno dei contributi più importanti della psicoanalisi alla comprensione del funzionamento psichico, esso è anche un concetto molto controverso, per non dire confuso, sul quale si addensano molte definizioni e altrettanto numerosi riferimenti teorici.
L’uso del termine di narcisismo per indicare fenomeni diversi comincia con Freud, che nel 1910 ne parla in relazione alla scelta d’oggetto degli omosessuali, i quali, cercando giovani uomini da amare come la madre ha amato loro, prendono sè stessi come oggetto d’amore. Poi ne riparla nel caso Schreber (1911) per riferirsi ad una fase dello sviluppo psico-sessuale successiva a quella auto-erotica e precedente quella dell’amore oggettuale maturo. Ma è con la nascita ufficiale del concetto di narcisismo in psicoanalisi – e cioè con Introduzione al narcisismo (1914) – che inizia quella molteplicità di significati che connoterà questo concetto negli anni a venire. In questo testo denso e in molte parti anche piuttosto oscuro, Freud parla di narcisismo per riferirsi ad un tipo di scelta oggettuale (in cui l’oggetto rappresenta ciò che il soggetto è stato, o vorrebbe essere), alla caratteristica della scelta d’oggetto omosessuale, ad uno stadio dello sviluppo libidico, e ad un aspetto patognomonico di forme psicopatologiche gravi – le nevrosi narcisistiche.

I numerosissimi studi dedicati al narcisismo dopo Freud non hanno certamente dissolto la confusione che circonda questo concetto, anche perchè – come è facilmente intuibile – ogni modello psicoanalitico colloca il narcisismo nella propria specifica prospettiva teorica. Come dice S.Manfredi Turillazzi in un suo lavoro di qualche anno fa intitolato “Ascoltando Narciso”:

“il concetto di narcisismo sovverte completamente la teoria delle pulsioni, influisce in maniera diretta tanto sul concetto di oggetto quanto su quello di istanze psichiche, ha una molteplicità di significati e presenta un labirinto di problemi teorici e tecnici, infine è uno dei più complessi ed enigmatici della teoria psicoanalitica”. (1998, p.115)
Non tenteremo qui di entrare nel ginepraio concettuale in cui è immerso questo concetto (argomento già trattato negli altri seminari, e sul quale c’è un’ampia letteratura, cfr. ad esempio il libro curato dalla Ronningstam 1998). Cercheremo invece di rintracciare il filo che collega la fenomenologia (e patologia) narcisistica con la fenomenologia (e patologia) perversa.

Il filo che seguiremo è essenzialmente clinico – e questa è con evidenza già un’opzione, in quanto lasceremo da parte le speculazioni metapsicologiche sulle radici dell’amore di sè, e useremo il termine di narcisismo per riferirci alla variegata fenomenologia clinica il cui comun denominatore è di funzionare come supporto e rinforzo al sè. Assumeremo in altre parole un approccio funzionale (Storolow 1975), secondo il quale è narcisistica una qualsiasi relazione o attività mentale nella misura in cui essa svolge la funzione di sostenere l’autostima e di mantenere il sè coeso.

Secondo Storolow (1975) l’approccio funzionale ci libera dalla confusione concettuale e dall’impraticabilità clinica insite nella definizione del narcisismo che rimandano alla teoria pulsionale. Rivolgere l’attenzione al significato (o funzione) che ha per il soggetto una certa relazione oggettuale implica non fermarsi sul piano di ciò che appare, ed andare a capire a che cosa serve. Così, ad esempio, due atteggiamenti di segno opposto come un legame di attaccamento intenso e un comportamento distaccato, indifferente o diffidente, possono svolgere la stessa funzione – possono cioè avere una valenza narcisistica. Per comprendere la funzione di protezione del sè e di mantenimento del necessario livello di autostima bisogna prendere in considerazione il contesto in cui tale relazione ha luogo: solo conoscendo il contesto in cui una determinata relazione si realizza possiamo valutare in quale misura essa funzioni come uno strumento di salvaguardia del sè – riparando il sè da una ferita narcisistica, o proteggendolo da un possibile attacco all’autostima.

Storolow fa un efficace paragone per spiegare come funziona il narcisismo, o meglio (per usare un termine meno astratto) per spiegare come funzionano le nostre innumerevoli attività narcisistiche: esse funzionano come un termostato rispetto alla temperatura di una stanza. Quando la temperatura si abbassa il termostato si mette in funzione per farla ritornare al livello fissato. La temperatura è come l’autostima: si alza e si abbassa a seconda di innumerevoli variabili, sia interne che interne. Il termostato (l’attività narcisistica) è solo una delle variabili che influisce sull’autostima: quando questa subisce una caduta il termostato-narcisismo si mette in moto per ristabilire l’equilibrio minacciato.

Il narcisismo è dunque un regolatore dell’autostima: quanto più questa viene minacciata o danneggiata tanto più intensamente si attivano le risorse e le difese finalizzate a mantenere il sè coeso e a dare alla rappresentazione di sè una colorazione affettiva positiva.

Ho parlato di “risorse” e “difese” perchè, come sappiamo, il narcisismo non è sempre patologico. Al contrario, la capacità di sostenere e riparare l’autostima è una fondamentale risorsa per l’organismo. L’attività narcisistica diventa patologica quando diventa eccessiva a causa di falle nella struttura del sè – falle che vanno continuamente riparate. Dobbiamo dunque concepire il narcisismo sano e il narcisismo patologico come dimensioni che si dispongono lungo un continuum che va dalle forme più utili e necessarie allo sviluppo e al benessere dell’individuo alle forme associate a manifestazioni più o meno stabilmente strutturate di patologia.

Il narcisismo sano corrisponde al senso interiore di libertà e di vitalità, che naturalmente è diverso a seconda delle varie età della vita. Un bambino ha un bisogno assoluto e fisiologico di avere la madre a sua disposizione, deve poterla usare e potersi rispecchiare in lei. Essa deve per lui essere un oggetto che si comporta come egli si aspetta e desidera, quasi come un’estensione di sè. Ma se questo stesso tipo di investimento narcisistico si verifica in una persona adulta, che tratta gli altri come se fossero un’estensione di sè, sempre a disposizione per soddisfarne i bisogni, entriamo nella patologia. E’ fisiologico che un bambino pianga e si arrabbi se non ha la madre a disposizione. E’ patologico, e cioè va incontro a scoppi di rabbia narcisistica o a cadute depressive l’adulto che si serve del controllo sugli altri o del rispecchiamento di sè in loro quando queste funzioni dell’oggetto gli vengono a mancare.

Perchè un bambino si possa sviluppare adeguatamente ha bisogno di una madre capace di farsi investire narcisisticamente. E’ necessario, direbbe Kohut (1971), che gli oggetti reali si comportino in modo rispondente alle esigenze di oggetto-sè del bambino, che cioè costituiscano per lui dei serbatoi di perfezione, di forza e di bontà (“imago parentale idealizzata”), capaci di fornire ammirazione rimandandogli un’immagine di perfezione, di forza e di bontà (“Sè grandioso”). Se i bisogni del bambino non sono stati capiti e soddisfatti nel modo giusto, se sono avvenuti dei fallimenti empatici, per le più varie ragioni e nei più vari modi, il narcisismo non si evolve verso uno sviluppo maturo ma rimane fissato lì dove è avvenuto il fallimento relazionale. Il narcisismo immaturo e patologico resterà attivo tutta la vita e i bisogni narcisistici insoddisfatti manterranno la loro forma arcaica, impedendo con la loro presenza scissa o rimossa lo sviluppo di una relazione oggettuale matura.

Mentre per Kohut un’immagine idealizzata di sè è una tappa normale dello sviluppo ed è la mancanza di una risposta empatica da parte dei genitori che impedisce a quell’immagine di venire corretta ed adattata alla realtà, per Kernberg (1974, 1975) la linea evolutiva del narcisismo patologico è separata fin dall’inizio dal narcisismo normale. Per Kernberg la patologia narcisistica è da ascrivere non ad un arresto di sviluppo, e cioè ad una versione alterata del narcisismo normale, ma all’investimento in una struttura che è fin dall’inizio patologica – egli la chiama infatti Sè grandioso “patologico”, e non “arcaico”: questa struttura patologica si costruisce per difendersi dalle frustrazioni prodotte dagli oggetti. Conseguentemente per Kernberg la terapia non consiste, come per Kohut, nel riattivare una fase dello sviluppo normale a cui il soggetto è rimasto fissato, ma nell’interpretare le difese narcisistiche – in particolare l’idealizzazione che viene usata dal paziente per difendersi dalla rabbia e dall’invidia. Il nucleo del sè grandioso patologico è un’idea irrealistica e idealizzata di sè che viene mantenuta attiva grazie a processi di scissione e proiezione all’esterno degli aspetti negativi del sè e alla incorporazione nel sè di quelli positivi. La prevalenza dei processi di scissione nella patologia narcisista è dovuta per Kernberg a un’eccessiva pulsione aggressiva che impedisce l’integrazione delle rappresentazioni buone e cattive.

Fra gli autori kleiniani (la Klein ha parlato poco di narcisismo; per gli autori kleiniani le relazioni d’oggetto narcisistiche sono quelle caratterizzate da identificazioni proiettive intense, Steiner, 1989) quello che più ha approfondito la dinamica narcisistica è Rosenfeld, che ha dato delle descrizioni cliniche importanti delle relazioni d’oggetto basate sull’onnipotenza grandiosa e sulla negazione della dipendenza. Il paziente narcisista, nella terminologia kleiniana, è auto-sufficiente in quanto possiede il seno materno da lui stesso generato. Nel descrivere queste forme di narcisismo distruttivo (1964, 1971) Rosenfeld ha paragonato l’organizzazione psichica di questi pazienti all’assoggettamento di una parte sana della personalità ad una gang di delinquenti che con le proprie imprese procura gratificazioni onniscienti e onnipotenti.

La gang delinquenziale viene idealizzata, e talvolta anche erotizzata, perchè difende dall’invidia e dalla dipendenza dall’oggetto. Rosenfeld ha successivamente (1987) distinto due forme di patologia narcisistica – i narcisisti “a pelle spessa” e i narcisisti “a pelle sottile”. I primi, che corrispondono alle descrizioni del narcisismo distruttivo, sono arroganti, aggressivi, tendono a distruggere l’oggetto e sopravvivono grazie all’investimento in un sè idealizzato. I narcisisti a pelle sottile, invece, sono vulnerabili, provano vergogna e senso di inferiorità, cercano approvazione e sono iper-sensibili a qualsiasi critica.

DUE TIPOLOGIE CLINICHE
Queste due fenomenologie cliniche così diverse fra loro – ma da vedere entrambe come prodotto di una dinamica narcisistica – danno ragione, almeno in parte, delle divergenti concezioni sul narcisismo di Kohut e di Kernberg. Ad alimentare la loro contrapposizione, di là delle differenze teoriche, c’era infatti in buona misura anche una differenza riguardo ai tipi clinici che stavano alla base delle rispettive teorizzazioni sul narcisismo: mentre Kohut trattava soprattutto pazienti con un sè vulnerabile, simili a quelli che Rosenfeld avrebbe chiamato “a pelle sottile”, Kernberg lavorava con pazienti arroganti, aggressivi, apertamente grandiosi, quelli che Rosenfeld avrebbe chiamato “a pelle spessa”.
Che la patologia narcisistica si possa presentare in due configurazioni – raramente nelle due forme-tipo, più spesso in forme miste – è un altro elemento che, oltre alle questioni metapsicologiche sopra menzionate, contribuisce a rendere confuso il terreno del narcisismo.

Vari autori hanno portato l’attenzione sulla varietà della tipologia narcisistica che si incontra nella clinica – una tipologia che è da intendere tanto come tratto che come patologia – ed hanno proposto di suddividerla in due gruppi: il primo in cui prevalgono atteggiamenti caratterizzati da grandiosità ed esibizionismo e l’altro da vulnerabilità e sensibilità.

Il primo tipo di narcisista – chiamato “overt” da Akhtar (1982, 1989) e “inconsapevole” da Gabbard (1994) – è molto soddisfatto di sè, esibizionistico, vanitoso, arrogante, sprezzante e invadente(1). E’ bisognoso di protagonismo, desideroso di affermarsi ed essere al centro dell’attenzione. Manipola a proprio vantaggio, seduce ed intimidisce. E’ poco attento agli stati d’animo degli altri, a cui è sostanzialmente indifferente: ha una “pelle dura”, che è come uno scudo che lo rende impermeabile agli altri, insensibile. La dimensione della vista e dell’apparire è importante (v. il mito di Narciso). Può anche essere molto competitivo, con la finalità di avere riconoscimenti e immediate gratificazioni. Si sente speciale, per cui dà per scontato che gli siano dovuti privilegi e trattamenti particolari, e prova rabbia e irritazione quando questo non avviene. Come difese prevalenti usa l’onnipotenza e l’idealizzazione di sè e, corrispondentemente, la svalutazione dell’oggetto. La sua grandiosità è ego-sintonica, il suo senso di superiorità è ovvio. Ha un Super-Io debole. Dall’oggetto, alla cui realtà e individualità in sè è disinteressato e indifferente, si aspetta solo che ammiri e rispecchi il suo sè grandioso. Nella relazione terapeutica questo atteggiamento produce controtransferalmente delle sensazioni di noia, inutilità e talora anche irritazione nel terapeuta, che viene immobilizzato nel ruolo di uno spettatore passivo ed inutile. Questo tipo di narcisista può avere delle somiglianze con la personalità psicopatica.

Il secondo tipo di narcisista – chiamato “covert” o “timido” da Akhtar (“shy narcissist” 2000) e “ipervigile” da Gabbard – è l’immagine speculare del tipo precedente: è inibito e schivo, evita di essere al centro dell’attenzione, ha difficoltà nelle relazioni. E’ molto sensibile e reattivo agli atteggiamenti degli altri, che considera perfetti (in modo idealizzato) ed è pronto a cogliere in loro accenni alla critica, da cui viene facilmente ferito. Prova vergogna e umiliazione, e va incontro a sentimenti cronici di inadeguatezza, impotenza e disperazione. Ha per lo più una sintomatologia depressivo-ansiosa, o ipocondriaca. La depressione ha la qualità della vergogna e dell’umiliazione (più che quella della perdita dell’oggetto, tipica del borderline). Può avere delle somiglianze con la personalità ossessiva e con quella schizoide.

A prima vista questo secondo tipo di narcisista (il covert) appare più sano, anche se tende ad avere meno successo nella vita, proprio per la sua tendenza ad auto-svalutarsi.
Nel DSM è il primo tipo di narcisista (l’overt) che viene considerato patologico(2). A questo proposito va notato che la decisione di assegnare alla personalità narcisistica una diagnosi a sè stante nel DSM-III negli anni ’80 derivò dalla crescente mole di studi psicoanalitici in questo ambito. Va anche notato che oggi, a più di 20 anni dalla definizione diagnostica del Disturbo Narcisistico di Personalità (NPD), si è verificato che questa è uno delle diagnosi “peggiori” dei disturbi di Asse II – “peggiore” nel senso che c’è una tale sovrapposizione con altri disturbi da indurre molti a mettere in questione lo status nosologico di questo costrutto e a suggerire che esso sia più adatto a descrivere un insieme di tratti patologici comuni a vari disturbi piuttosto che un’entità nosologica distinta.

Il problema è dovuto al fatto che i criteri del DSM sono puramente fenomenici, mentre le manifestazioni della dinamica narcisista non sono univoche. Per riconoscere la natura narcisista di determinati comportamenti e di atteggiamenti è necessario accedere al significato che essi hanno per il soggetto nonchè al contesto ambientale e relazionale in cui essi hanno luogo.
Nella seguente tabella sono riassunti i due stili prevalenti nei disturbi narcisistici. L’autore che l’ha costruita (Hockenberry, 1995) ritiene che la dinamica narcisistica si organizzi essenzialmente intorno alla vergogna e alla grandiosità e che le differenze fra le tipologie narcisistiche dipendano dai diversi modi con cui tali tematiche vengono vissute.

STILI DIVERSI DI DISTURBO NARCISISTICO (Hockenberry, 1995)
STILE GRANDIOSO
Tematiche sottostanti al disturbo narcisistico
STILE SIMBIOTICO
latente: la vergogna è ego- distonica, ma inconsciamente attiva
Vergogna
manifesta: la vergogna è cosciente ed ego-sintonica

manifeste: immagine di sè gonfiata, intensamente idealizzata,
egosintonica
Grandiosità e onnipotenza

latenti: la grandiosità è ego-distonica, ma inconsciamente attiva

latenti: negazione cosciente dei bisogni di dipendenza per mezzo di pseudo-autonomia e di controllo aggressivo degli oggetti
Relazioni insicure sè-altri

manifeste: idealizzazione e dipendenza morbosa dalle relazioni; gli altri vengono usati come oggetti-sè
manifesta:
il riferimento alle ingiustizie subite viene spesso usato per giustificare la violenza; ciò sostiene della grandiosità
Sentimenti di rabbia e furia
latenti: la rabbia è ego-distonica, viene proiettata o espressa in modo passivo-aggressivo

manifesta:
il riferimento alle ingiustizie subite viene spesso usato per giustificare la violenza; ciò sostiene della grandiosità
Visione di sè come vittima
manifesta: usa il ruolo di martire o di vittima per negare la propria aggressività, per controllare gli altri e per sentirsi “speciale”
manifeste: si impegna in deliberati comportamenti auto-distruttivi per vendetta e controllo
Tendenze masochistiche controproducenti
manifeste: soffre di proposito, per mantenere un’illusione di controllo e di onnipotenza
manifesto: in risposta a sentimenti
di vergogna o per ristabilire l’autonomia

Uso della violenza
manifesto: in risposta a sentimenti di abbandono

Chi chiede, o si aspetta, compulsivamente affetto, protezione e favori ad una figura vissuta come onnipotente e chi agisce come se fosse tale figura onnipotente a cui tutto è dovuto, vanno dunque visti come due facce della medesima medaglia: entrambi si danno da fare per salvaguardare il proprio sè vulnerabile, per sanare la propria ferita narcisistica – il primo mettendosi in relazione con l’oggetto con l’idea di godere delle prerogative onnipotenti di cui lo ritiene magicamente dotato, il secondo ponendo l’oggetto al servizio delle proprie aspettative e pretese onnipotenti.

Quando è in gioco la dinamica narcisistica, dietro uno stato d’animo depressivo, impotente e inibito, c’è sempre una fantasia inconscia di grandezza – la fantasia di essere stato privato ingiustamente della forza di cui è dotato l’oggetto. In modo reciproco, dietro la grandiosità di chi appare tanto sicuro di sè è sempre in agguato un sentimento di fragilità, di impotenza e di nullità che solo la sicurezza di tenere gli altri sotto il proprio controllo e dominio può esorcizzare. In ogni narcisista fatuo e grandioso si nasconde un bambino impacciato e vergognoso e in ogni narcisista depresso e autocritico si nasconde un’immagine grandiosa di sè, della persona che egli vorrebbe o potrebbe essere. A tutti, al di là della facciata che esibiscono all’esterno, è comune un senso interiore di inadeguatezza, vergogna, debolezza, inferiorità. Ciò in cui i narcisisti differiscono sono i comportamenti compensatori, i modi cioè in cui riparano il loro senso di inadeguatezza, la loro ferita narcisistica (McWilliams 1994, p.193).

Nella ricca tipologia narcisistica troviamo spesso delle persone molto affascinanti e seduttive: queste non hanno bisogno di dominare con prepotenza gli altri; a loro basta ottenerne l’ammirazione. Che questo sia un bisogno vitale, senza il quale la persona si collassa, lo si può vedere solo nelle circostanze in cui l’ammirazione (il sostegno narcisistico), per qualsiasi motivo, viene a mancare. Tipico è il caso della donna che ha usato i figli come oggetti narcisistici e che va incontro a depressione quando questi si allontanano. Una stima di sè che ha bisogno di venire continuamente alimentata dall’ammirazione (non dall’amore!) è sostanzialmente fragile e alla mercè degli oggetti: quando questa venga a mancare c’è la reazione di rabbia per l’affronto subito, o la reazione depressiva per aver perso l’abituale rifornimento narcisistico.

Ma queste non sono che alcune delle innumerevoli possibilità in cui viene mantenuto l’equilibrio narcisistico in persone che – stabilmente o occasionalmente – risultano vulnerabili nella stima di sè. L’estesa letteratura sul narcisismo è piena di casi clinici che descrivono strutture di personalità con una gran varietà di ferite e difese narcisistiche più o meno stabili. Questa osservazione ci deve indurre a considerare i due tipi di personalità narcisistica sopra menzionati (l’overt e il covert) più come paradigmi di organizzazione narcisistica che come veri e propri tipi clinici realmente dotati di tutte le caratteristiche descritte.

LA RELAZIONE D’OGGETTO NARCISISTICA E NARCISISTICO-PERVERSA
Vorrei adesso soffermarmi su quello che è un aspetto centrale della dinamica narcisistica (centrale per capire come in certe strutture narcisiste si innesti un comportamento perverso): l’uso che viene fatto dell’oggetto. L’oggetto nella condizione narcisistica esiste essenzialmente come un’estensione del sè, viene considerato solo in rapporto alle proprie necessità. La qualità dell’amore portato all’oggetto è in grande misura narcisistica: “Lo amo in quanto mi ammira” direbbe il narcisista, e “Lo amo anche perchè mi ammira” direbbe la normale persona innamorata, in cui l’aspetto narcisistico è una normale componente dell’amore.

Anche in questo caso la maggiore o minore quota di relazione d’oggetto narcisistica è visibile solo ad un’osservazione attenta e prolungata, come può avvenire in una relazione terapeutica, o è percepibile solo all’interno di una relazione stretta e intima.
Ciò che caratterizza una relazione d’oggetto narcisistica, al di là di come appare, è il significato, o la funzione, che essa ha per la persona che ha problemi di gestione della propria autostima: l’oggetto che viene investito narcisisticamente viene usato per sostenere o riparare l’autostima, e dunque non viene vissuto come entità autonoma e separata. E’ piuttosto un’estensione del sè.

Il narcisista non è che non ama gli oggetti, ma li ama in quanto estensioni di sè – sia di sè come è stato nel passato, quando era magicamente unito ad un oggetto onnipotente, sia di sè come vorrebbe essere. Il bisogno dell’oggetto – questo tipo di bisogno dell’oggetto – può manifestarsi direttamente e apertamente, come avviene nelle personalità dipendenti, avide e scontente di ciò che ricevono (anzi, per la verità: ciò che prendono) dagli altri, e può manifestarsi in modo diametralmente opposto, con atteggiamenti di auto-sufficienza grandiosa in cui la dipendenza dagli altri è negata sul piano cosciente, ma non per questo meno attiva in pratica: la dipendenza dagli altri c’è oggettivamente, ed è parallelamente negata, o esorcizzata, tramite l’esibizione grandiosa della propria persona.

L’oggetto – dunque, il suo stato, i suoi desideri e bisogni – non viene preso in considerazione, direi quasi che non viene visto.
Ci sono due banali circostanze nella nostra vita quotidiana in cui è senz’altro capitato a tutti di fare esperienza di questo “non vedere” l’oggetto: il ringraziare e il chiedere scusa (v. l’articolo Patologia narcisistica della vita quotidiana, di McWilliams N., Lependorf S.,1990). L’incapacità di provare gratitudine e rimorso sono due tipici indicatori di questa cecità, o ignoranza, o indifferenza, di fronte all’oggetto.
Provare gratitudine implica che si riconosca il valore dell’oggetto; e conseguentemente la propria dipendenza da esso. Il narcisista questo non lo tollera. Per provare gratitudine, per ringraziare, dobbiamo avere un senso sufficientemente positivo e stabile di noi stessi: solo chi è sicuro di sè e tranquillo del proprio valore non sente minacciata la propria integrità quando riconosce il proprio debito verso qualcuno.
Anna sta attraversando un periodo difficile sia per motivi personali che per la mancanza di un lavoro stabile. Ha un’amica, Bianca, che lavora in un’emittente televisiva, che viene a sapere che stanno cercando una costumista. Bianca subito avvisa Anna, e fa anche qualcosa di più: parla con qualcuno nell’azienda per raccomandare la sua amica. Lo fa spontaneamente e volentieri: ha affetto e stima per Anna. Anna viene assunta, ma – pur avendo ricevuto un notevole beneficio oggettivo grazie all’amica – la ringrazia a malapena. Lo fa in modo un pò freddo e formale, tanto da dare l’impressione di essere più seccata che contenta. Bianca è perplessa, non capisce che cosa sia successo.

Anna è seccata. Il suo orgoglio è ferito: “Lo ha fatto perchè le faccio pena!” pensa. E’ sopraffatta dall’umiliazione che prova nel ricevere qualcosa – soprattutto di ricevere qualcosa di cui ha veramente bisogno. Che cosa è successo dentro di lei? La sua già scarsa stima di sè è ulteriormente compromessa dalle dolorose vicende che sta attraversando: ha più bisogno degli altri, ma non tollera di avere questo bisogno. E dunque vive l’amica Bianca che le ha fatto un favore come se questa la trattasse dall’alto in basso: “Le faccio pena! Mi fa l’elemosina! Ma chi si crede d’essere?”. Con una terminologia più tecnica diremmo che Anna, a causa della sua vulnerabilità narcisistica, non è in grado di dipendere – seppure solo per un favore – dall’amica, dentro la quale anzi proietta il suo sè grandioso, arrogante ed esibizionista, intenzionato a umiliare.

In un’altra circostanza Anna – la cui vulnerabilità narcisistica sfocia talora in atteggiamenti francamente paranoicali – è notevolmenteagitata e rabbiosa perchè è convinta che una sua collega voglia in ogni occasione mostrare la propria superiorità e far vedere a tuttiquanto lei, Anna, sia un’incapace: pur essendo consapevole di quanto le sia penoso prendere la parola durante delle riunioni, non esita ad accusare una collega, che “ha parlato solo lei” – dice, per averle impedito di prendere la parola, per non averla aiutata e aver fatto così risaltare di fronte a tutti la sua incapacità.

In un’altra occasione ancora, durante un piccolo festeggiamento del suo compleanno in cui ciascuno portava qualcosa da mangiare o da bere, Anna ha pensato che la propria torta, acquistata in una buona pasticceria, valesse meno di quella fatta personalmente da un’amica. Sentitasi molto avvilita per non aver fatto anche lei un dolce che meritasse i complimenti degli altri più di uno acquistato, ha pensato che la sua amica aveva fatto apposta a preparare una torta con le sue mani: aveva fatto il dolce proprio per umiliare lei, per far vedere a tutti che lei non valeva niente, che era pigra e che neanche per il proprio compleanno si dava da fare.Tutta presa dal suo avvilimento e dalle sue recriminazioni Anna non pensava che l’amica, preparando una torta, le aveva fatto un regalo nè tanto meno pensava di ringraziarla.

Per una persona che ha un impedimento (narcisistico) a percepirsi con un qualsiasi difetto è difficile chiedere scusa: farlo significa per lui/lei provare rammarico per l’offesa recata all’oggetto – ovvero sentirsi in colpa. Ma nella dinamica narcisistica non c’è la colpa: c’è la vergogna. Il narcisista “senza veli, duro e puro” potremmo dire, non chiede scusa, perchè considera che tutto gli sia dovuto.
Ad un narcisista un pò meno pieno di sè – e cioè una persona con un tratto narcisistico più che con una vera e propria patologia – può capitare di chiedere scusa in una maniera poco convincente, perchè più che interessato all’altro egli è interessato a sè stesso, alla propria immagine.

Una persona, parlandomi del suo compagno, mi disse:
“Carlo mi chiede così ripetutamente ed esageratamente scusa quando si accorge di avermi fatto un torto che diventa quasi fastidioso, appiccicoso. Sembra non sincero. Ho l’impressione che non mi chieda scusa perchè è veramente dispiaciuto di avermi ferita, ma perchè si vergogna di sè, del suo comportamento”.

Chi funziona coltivando un’illusione di auto-sufficienza e tenendo sempre attiva una rappresentazione di sè grandiosa e onnipotente non solo non ritiene di dover ringraziare o chiedere scusa ma si muove nella vita come se tutto gli sia dovuto, e come se gli altri, o l’altro, non avessero valore se non per occuparsi di lui, per riconoscere le sue superiori qualità. Gli altri funzionano come degli specchi che riflettono l’immagine di sè grandiosa. L’altro per questo tipo di narcisista è oggettivamente (ma non soggettivamente!) necessario per la sua funzione di rispecchiamento: è necessario, appunto, solo in quanto specchio.
Spesso è attraverso questo “altro” – attraverso ciò che sente, attraverso il suo disagio (come nell’esempio precedente) – che si capisce veramente la dinamica narcisistica, ovvero l’uso che il narcisista fa delle persone, anche se non è raro che questo “altro” per qualche suo motivopossa essere ben felice di essere usato come uno specchio.
Per quanto possa essere disagevole per la propria identità venire manipolato, o anche solo ignorato, da un narcisista grandioso, il danno ricevuto è inferiore a quello inflitto dal narcisista-perverso: per quest’ultimo l’oggetto non è solo uno strumento occasionale utile a mantenere alta l’immagine di sè, ma una vera e propria preda che egli soggioga e sfrutta a proprio vantaggio.

Anche nella relazione narcisistico-perversa l’oggetto viene usato con la finalità di mantenere il sè coeso, ma ciò avviene con mezzi che vanno oltre l’uso dell’oggetto come supporto e specchio del proprio sè grandioso. Il rifornimento narcisistico nella relazione narcisistico-perversa si effettua in altre parole con un surplus di danneggiamento e di manipolazione nei confronti dell’oggetto perchè entrano in gioco i mezzi tipici della perversione – e cioè il diniego e la scissione messi in atto con il piacere specifico di umiliare e distruggere, oltre a quella peculiare capacità, tipica della perversione, di alterare la realtà.
Il narcisista perverso è “narcisista” in quanto lavora per mantenere la propria autostima ed è “perverso” in quanto fa pagare ad altri il prezzo della difesa dal collasso del sè.

NOTE
(1)E.Jones (1913) aveva detto che questo tipo di personaggio ha il Complesso di Dio; W.Reich (1933) aveva descritto gli aspetti arroganti, esibizionistici e manipolativi del carattere fallico-narcisista; Modell (1975) ha collegato l’illusione di auto-sufficienza alla difesa contro gli affetti; Bursten (1973) dà una ricca e articolata descrizione di quattro tipi di narcisisti: il bisognoso passivo-aggressivo, il paranoide, il narcisista-fallico e il manipolativo. Kernberg ha dedicato molti scritti fin dal 1975 alla sindrome del narcisismo patologico, caratterizzata da egocentrismo, grandiosità, esibizionismo, senso di superiorità, ambizioni eccessive, atteggiamenti infantili, grande dipendenza dall’ammirazione altrui, emotività superficiale, grande timore di essere mediocri; intensa invidia, svalutazione (espressione del bisogno di difendersi dall’invidia), disprezzo del lavoro degli altri, avidità per ciò che appartiene agli altri, tendenza a sfruttare gli altri, incapacità di dipendere da altre persone; difficoltà a fare esperienza di forme differenziate di depressione (come il rimorso, la tristezza, l’auto-riflessione), autostima più regolata dalla vergogna che dalla colpa.

(2) Il Disturbo Narcisistico di Personalità (DNP) è caratterizzato da un quadro pervasivo di grandiosità. Il soggetto ha un senso grandioso di importanza, ha fantasie di illimitato successo, potere, fascino, etc., crede di essere “speciale”, unico, richiede eccessiva ammirazione, ha la sensazione che tutto gli sia dovuto, si approfitta degli altri per i propri scopi, manca di empatia, ha relazioni che oscillano fra l’iper-idealizzazione e la svlautazione, mostra atteggiamenti arroganti o presuntuosi.

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