Cultura e Società
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Sigmund Freud e la diva del Moulin Rouge

Henri de Toulouse-Lautrec - Divan Japonais - Google Art Project-2

Nota a margine della mostra “Toulouse-Lautrec. Luci e ombre di Montmartre.”

Palazzo Blu, Pisa, 16/12/2015-14/2/2016.

Che Toulouse-Lautrec abbia frequentato e immortalato le più famose dive dei cabaret parigini di fine ‘800, è cosa risaputa, e questa bella mostra a Pisa rappresenta un’imperdibile occasione per immergersi in quel mondo. Che Sigmund Freud fosse un fan di una di loro, con cui stabilì un lungo rapporto di amicizia, è forse cosa meno nota, e ne parlerò brevemente più avanti.

Il Conte Henri de Toulouse-Lautrec naque nel 1864 ad Albi, nel sud della Francia, da una famiglia di antica nobiltà, e per tradizione familiare ben altro sarebbe dovuto essere il suo destino. Bambino bellissimo nei primi anni di vita, Henri cominciò ben presto a mostrare i segni di una grave malattia genetica delle ossa che oltre a varie dolorose complicazioni, lo rese nell’aspetto simile ad un nano. La fragilità del suo corpo, sempre a rischio di fratture e conseguenti periodi di immobilità, lo costringeva a vivere come sotto una campana di vetro, isolandolo dai coetanei e precludendogli gli svaghi e le attività proprie della sua classe sociale – come l’equitazione, che Henri amava pur non potendo praticarla, di cui riuscirà però a raffigurare sulla tela l’emozione e il dinamismo della corsa. Infatti per lenire il senso di solitudine e di esclusione, la madre lo incoraggiò a disegnare e dipingere; il ragazzo si appassionò, benché il padre trovasse disdicevole che il prestigioso nome di famiglia finisse in calce a qualche tela imbrattata. La madre si trasferì a Parigi, portando con sé il figlio adolescente, e intorno al 1880 Henri cominciò sia studiare arte che a frequentare Montmartre.

Come suggerisce il titolo della mostra pisana, da quel momento la vita e l’opera di Toulouse-Lautrec si legheranno indissolubilmente a quel quartiere, che proprio negli ultimi decenni dell’800 stava subendo una straordinaria trasformazione.

Lontano dal centro aristocratico e borghese di Parigi, Montmartre era un vecchio sobborgo operaio che aveva cominciato a richiamare studenti squattrinati e artisti fuori dai canoni, attratti dalla possibilità di affittare per pochi franchi case ad atelier. C’era anche una folla di giovani uomini e donne, che cercavano di sfuggire alla miseria inseguendo il sogno di farsi strada nel mondo dello spettacolo. Si erano aperte numerose sale da ballo, caffè, cabaret, teatri e case chiuse, che tra il Secondo Impero e la Belle Époque costruirono la fama di Montmartre come luogo per eccellenza della vita notturna, del divertimento e del piacere, simbolo di uno stile di vita libero e bohémien – se non licenzioso – che si contrapponeva alla pruderie e alle convenzioni della morale borghese.

Toulouse-Lautrec, con il fardello della sua deformità e sofferenza, si immerse in questo “mondo a parte” di eccessi ed eccitazione, di cupa miseria e di luci della ribalta, contrasti drammatici che forse riflettevano una sua esperienza interna di intimo e doloroso dissidio. Con il suo tratto grafico nervoso ed essenziale, graffiante fin quasi alla caricatura, osando tagli prospettici spesso sghembi, laterali, soprattutto nei manifesti pubblicitari l’artista si fece testimone ed interprete della vivace vita notturna che si svolgeva nei locali di Montmartre, ritraendo cantanti e musicisti, ballerini e clown, attori, impresari, pubblico. Si fece testimone anche della “normalità” della vita quotidiana delle prostitute nelle case chiuse – dove era solito andare a vivere per lunghi periodi – ritraendo quelle donne in piccoli gesti domestici, in un’atmosfera di quieta ed assorta malinconia, come nelle 11 litografie Elles in mostra a Pisa. Tuttavia i suoi lavori più famosi sono quelli che ritraggono le star del Moulin Rouge, del Divan Japonaise o dell’Ambassadeurs come Jane Avril, May Belfort, e Yvette Guilbert, regine dei palcoscenici che calcavano caratterizzandosi ciascuna per un dettaglio che la rendeva iconica: Jane Avril indossando mutandoni rossi per scatenarsi nel can-can; May Belfort presentandosi con un gattino tra le braccia; Yvette Guilbert sempre inguainata in lunghi guanti neri.

Ed è appunto Yvette Guilbert ad esser stata non solo una delle modelle preferite di Toulouse-Lautrec, ma anche la cantante che Sigmund Freud ammirò più di ogni altra.

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Freud ebbe modo di ascoltarla per la prima volta al Moulin Rouge nel 1889, su indicazione di Madame Charcot, mentre si trovava a Parigi per un congresso sull’ipnosi come metodo terapeutico. Yvette iniziava in quegli anni la sua brillante carriera di cantante di cabaret, impegnata a creare uno stile personale che la facesse emergere dallo stuolo di giovani donne che si contendevano l’attenzione del pubblico. Alta, un po’ segaligna, costruì accuratamente la propria immagine: “Miravo ad un’impressione di grande semplicità, che ben armonizzasse con le linee del mio corpo magro e il volto minuto, […] Soprattutto, volevo apparire molto distinta, così da potermi permettere qualsiasi cosa in un repertorio che avevo deciso doveva essere molto scabroso […] realizzare uno spettacolo in musica di scenette briose, dipingendo tutte le sconcezze, gli eccessi, i vizi dei miei «contemporanei», facendoli ridere di sé, […] questa doveva essere la mia innovazione, la mia idea vincente” (trad. dell’A.).

Decisamente Yvette Guilbert fu una donna intelligente, audace e determinata, e in età avanzata si dedicò anche alla scrittura pubblicando romanzi e memorie sulla Belle Époque. Divenne nota come la diseuse fin de siècle, in quanto una sua peculiarità fu quella di utilizzare la voce più come un’attrice che come una cantante : recitava, più che cantare, i versi delle sue canzoni – alcune composte da lei stessa – impersonando con grande maestria interpretativa le figure di dubbia moralità che portava sulla scena, e sottolineando con toni sapienti i doppi sensi e le allusioni del testo.

Innocenza e distinzione mescolate a malizia e volgarità, la morale sessuale dell’epoca smascherata nella sua ipocrisia, il linguaggio che rivela con assonanze e giochi di parole ciò che dovrebbe rimanere nascosto: Freud fu completamente affascinato da Yvette Guilbert! Non si perdeva mai uno spettacolo quando lei era in tournée a Vienna, e a Beergasse 19 la foto di lei era accanto a quella di Lou Salome.

Lautrec Yvette Guilbert-1Diciotto lettere tra Freud e Guilbert, dal 1926 al 1938, sono adesso conservate nel Freud Museum di Londra. Alcune di esse riportano un interessante scambio di opinioni tra i due sulla “psicologia dell’attore”, o meglio sui meccanismi psicologici che sottendono l’arte di interpretare un personaggio in scena. Gombrich, che si è occupato di questo epistolario, ricorda che Yvette Guilbert dopo aver ottenuto notorietà e successo con canzoni licenziose in ruoli di prostitute e criminali, era seccata perché il pubblico tendeva ad identificarla in un certo qual modo con i personaggi interpretati, a circondarla di un alone di donna di facili virtù, mentre lei ci teneva molto ad affermare la propria rispettabilità e a sottolinere la distanza tra la persona e il personaggio. Scrivendo a Freud in merito a questo ultimo punto, Yvette sostiene che a suo avviso “[…] ciò che rende grande un attore è la capacità […] di relegare sullo sfondo la propria persona”, “di cancellare la propria personalità”, sostituendola grazie all’immaginazione con quella del personaggio che si è chiamati a impersonare.

Nella lettera dell’8 Marzo 1931, Freud risponde che non è molto convinto di quanto affermato dall’amica; anzi, al contrario, “Non è che la persona dell’attore viene eliminata, quanto piuttosto che elementi di questa – per esempio inclinazioni non sviluppate e desideri soppressi – vengono utilizzati nella rappresentazione dei personaggi proposti, e così viene permesso a quei tratti di esprimersi, cosa che dà al personaggio in questione verità e vita. Può trattarsi di qualcosa di meno semplice di quella trasparenza dell’Io che voi [Yvette] ipotizzate” (trad. dall’A.).
Naturalmente Yvette dissentì decisamente, senza che questo disaccordo incrinasse però i loro rapporti. Anzi, in seguito, scrivendo un articolo per un giornale sul “Complesso dell’Attore”, la Guilbert usò le idee di Freud sull’argomento.

La lunga amicizia, fondata su reciproca stima e ammirazione si protrasse anche dopo la fuga di Freud a Londra, dove Yvette andò per l’ultima volta a trovarlo insieme alla Principessa Bonaparte.

  • Durante il XV Congresso Internazionale di Psicoanalisi, tenutosi a Parigi, fu organizzata una serata musicale in cui Yvette Guilbert cantò una delle canzoni preferite di Freud, “Dites-moi que je suis belle”, qui nell’interpretazione di Natalie Joly: www.youtube.com/watch?v=lj3vESoqaCg
  • per ascoltare Yvette Guilbert che interpreta “Madame Arthur”, uno dei suoi brani più famosi, clicca qui: www.youtube.com/watch?v=NVrJREtgZ3c

Dicembre 2015

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