Psicoanalisi e dintorni
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“PRENDERSI IN GIOCO. Una psicoanalista racconta” di Marta Badoni – Recensione di Antonella Sessarego

Prendersi gioco

(Raffaello Cortina Editore)

Marta Badoni è neuropsichiatra infantile, analista con funzioni di training della SPI, esperta in analisi di bambini e adolescenti, ha ricoperto la carica di segretario nazionale e di vicepresidente, in due diversi esecutivi della SPI.  Nel 1993 al Centro Milanese di Psicoanalisi costituì, con altri colleghi, l’Osservatorio per la psicoanalisi dei bambini. Da questo primo fondamentale nucleo comincerà un percorso clinico e istituzionale, che la vedrà impegnata in prima persona, fino al riconoscimento, dopo alcuni anni,  e all’integrazione nel training del lavoro con bambini e adolescenti, esigenza riconosciuta sia a livello nazionale dalla SPI che internazionale dal’IPA. Marta Badoni è una figura centrale nella storia della SPI e della psicoanalisi infantile.

Questo libro raccoglie lavori significativi, alcuni inediti, altri già pubblicati, ma rivisti e riadattati. Con una scrittura chiara ed incisiva l’autrice ci porta dentro la stanza d’analisi con storie cliniche intense, con una tecnica rigorosa e originale, attraverso percorsi teorici complessi.

Questo è già molto, ma il valore aggiunto nella lettura di questo libro sta nel riuscito intreccio  tra la scrittura della storia personale con il racconto delle storie di bambini e genitori lungo il percorso del suo lavoro clinico.

Il libro è diviso in cinque parti ognuna delle quali si apre con il racconto di momenti di vita personale, seguiti da uno o più lavori  clinici, scritti in periodi diversi. I titoli suggestivi di ognuna delle cinque parti, rimandano  ad altrettante tappe  che si svolgono nell’arco di un’ intera esistenza. Il primo titolo è “Un tempo per accorgersi Intendere” e l’ultimo  “ Un tempo per consegnare Generare”, in mezzo la complessità di una vita e di una professione. In tutto il libro si fa riferimento a concetti fondamentali della psicoanalisi, negli scritti clinici, ma essi filtrano anche attraverso le esperienze personali: a partire naturalmente dal gioco, che non è solo quello della stanza dei bambini, ma è anche il gioco dei livelli impliciti che si svolgono in ogni stanza d’analisi, la rêverie, la funzione e l’uso del corpo, il linguaggio con la parola interrogante e con il silenzio, spesso così difficile.

Posso fare due brevi esempi, per me significativi, dove livelli diversi si incontrano e dialogano tra loro,  solo come  parziale saggio della ricchezza e originalità del libro.

La terza parte “Mettersi in gioco Risorse e rischi” si apre con un  breve scritto che riguarda un periodo intenso della vita personale (la nascita del primo nipote), della vita istituzionale e scientifica (il passaggio per l’attribuzione di training, la presentazione di importanti lavori scientifici in contesti internazionali) e del nuovo incarico con l’elezione a vicepresidente della SPI. Marta Badoni scrive poi del suo trasferimento da Milano, dove ha vissuto per quarantuno anni, a Lecco, unica delle undici figlie a tornare nella casa paterna. E’ importante leggere le presentazioni, che sono parte integrante del libro,  perché ci permettono, come lettori, di sentire/riconoscere quanto intimo sia il rapporto che l’autrice ha con la psicoanalisi e come questo passi attraverso l’esperienza personale. Questo emerge nel lavoro presentato successivamente, il settimo capitolo: “L’analista, tra genitori e figli” ,  un testo fondamentale, dove l’articolazione tra il caso clinico presentato e la “posizione dell’analista” è esaminata con  chiarezza e profondità, stimolando, ma anche affidando  al lettore le ulteriori  riflessioni in questo stare tra “risorse e rischi”:

“Quando ci si confronta con una situazione traumatica in analisi, all’analista viene inconsciamente richiesto di sperimentare una situazione analoga, da fare qualche cosa senza sapere in anticipo dove porterà, fino sperimentare una dolorosa assenza di pensiero. La paura di non essere capace di pensare, come pure un dubbio profondo sulla capacità di distinguere realtà e fantasia, diventa dubbio dell’analista. Occorre poter convivere con questi stati d’animo per poterne uscire poco a poco; solo in seguito è possibile capire cosa è successo e aiutare i pazienti a farlo.” (99).

Nella quarta parte “Gli ingredienti della cura Sapori e dissapori” l’autrice rievoca, nelle pagine iniziali, episodi del suo vivere nell’istituzione (scherzosi, ma non troppo!), dello spazio conquistato con uno studio tutto suo, del tempo della seduta e  del corpo in seduta. Ci introduce così a un altro importante lavoro clinico: “Un corpo, una storia”; si seguono  le  vicende di altri corpi, di altri spazi,  di altri tempi, i casi clinici sono storie che si intrecciano, parlano di separazione, clandestinità, e mostrano il linguaggio interrogativo che l’analista usa per parlare con sé e con il paziente:

“Se il soggetto non è riconosciuto in ciò che prova, non potrà sua volta riconoscersi: sarà invece in balia di un corpo imploso, in una sorta di organizzazione autarchica, o potrà inventarsi una storia senza corpo: la virgola è garanzia una pausa e di un ascolto rispettoso (Nissim Momigliano, 1989).” (120)

Come lettori ci troviamo a seguirla sulla via delle tracce, strategie e inciampi sulle vie errabonde (117),seguendo anche le nostre tracce e i nostri inciampi raccogliendo ed imparando su questi qualcosa di nuovo. E’ così che questo libro si fa leggere, come frutto di un pensiero originale e rigoroso che  invita ad una lettura altrettanto personale e libera.

Nell’ultima parte “Un tempo per consegnare Generare” questo invito si fa, a mio avviso, ancora più esplicito, l’autrice interrogandosi su “Un problema all’origine: L’originalità”, pone delle domande sulla responsabilità ed il ruolo dell’Istituzione  rispetto all’ appartenenza  ed al sentirsi garantiti nella propria identità professionale e originalità personale, e di come questo sia legato ad un mandato  generazionale in grado di consegnare e trasmettere il  proprio sapere, per generare nuovo sapere.  

In “Tradimento e corruzione”, un testo nell’ultima parte del libro, l’interrogativo riguarda il  processo di soggettivazione,  che coinvolge all’inizio  il bambino e l’ambiente di cura, ma che si ripeterà, con alterne vicende, durante tutta la vita. E’ un testo affascinante che indaga sul difficile passaggio tra dipendenza ed emancipazione, passando attraverso un tradimento, e conclude offrendo una posizione aperta e flessibile: “ Sono qui silenzi rilassati in analisi che segnano il lavoro di un pensiero libero, che sa di poter cercare senza necessariamente trovare e soprattutto senza trovare quello che l’altro si aspetta.” (165).

Ed ecco come Marta Badoni ci presenta il suo libro:

“Poiché intanto gli anni comunque passavano, e gli acciacchi, previsti e non, mordevano il tempo, ecco che questi miei scritti assomigliavano sempre più a un testamento. Ho amato molto lavorare nella Società Psicoanalitica Italiana anche se non è stato sempre facile, ho visto con soddisfazione crescere giovani colleghi, ho scandagliato con passione le turbolenze della mente, mia e dei miei pazienti.

 Questo è il mio lascito per chi avrà voglia e tempo per attingervi.”(IX-X).

Concludo, con pò di orgoglio, ricordando che le prime mosse di questo libro sono nate proprio a Firenze, durante la partecipazione ad un evento organizzato dal nostro Centro, come  scrive Marta Badoni : “ questo libro è nato per un gioco di sguardi, è cresciuto in un fermento di affetti, e se è arrivato a conclusione è solo per il tocco incisivo e assieme lieve lieve di Stefania Nicasi e per la straordinaria e competente tenacia di Alessia Fusilli De Camillis”, che sono anche  autrici della bella presentazione che apre il libro e ne traccia il filo condutture.

Consiglio questo testo  ai colleghi più giovani, per la ricchezza teorica e l’esperienza clinica che lo attraversano e che lo rendono consultabile come un manuale. Lo consiglio anche a chi, come me, ha già un passato professionale, perché fornisce elementi originali e preziosi per nuove riflessioni, e per cercare di capire qualcosa di più su quel complesso intreccio rappresentato dal rapporto che ognuno di noi ha con l’Istituzione.

Per me è stato un vero piacere leggere questo libro, intenso e leggero, come il suo titolo “Prendersi in gioco”, e pieno di una profonda conoscenza come  la sua autrice.

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