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Saraò G. (2019) Introduzione al convegno Al di là dell’Interpretazione

Testo della relazione presentata al convegno

Al di là dell’Interpretazione. Note sul cambiamento in psicoanalisi

 Firenze 30 marzo 2019

 

Ci sono concetti e teorie che ci accompagnano nella nostra formazione professionale, nel tempo rappresentano dei compagni di viaggio con cui continuamente siamo costretti a confrontarci.  Un ritornare a casa, rincontrare qualcosa che è familiare, che è lì anche quando non ci pensiamo, qualcosa che fa parte della nostra identità anche a nostra insaputa.

Parlare del concetto di interpretazione, per chi lavora con metodi psicoanalitici-psicodinamici,  significa avventurarsi in una vasto territorio, in cui ogni generazione di analisti ha lasciato una traccia. Ma questo ritorno comporta un incontro rinnovato, un quid di nuovo che si aggiunge alla storia di quel concetto, un misto rassicurante ed inquietante. Per quanto possiamo ricostruire la genesi e lo sviluppo di quel concetto ci dobbiamo confrontare con l’attuale, la nostra epoca, la nostra visione del mondo. 

La comunità degli analisti, a cominciare da Freud, ha scritto moltissimo sullo strumento dell’interpretazione e come tale permane una costruzione che costituisce un aspetto identitario un corpus teorico con cui ognuno di noi si deve continuamente confrontare.Ma se osserviamo la letteratura degli ultimi 30 anni gli scritti si sono diradati, il concetto di interpretazione viene sempre di più accostato ad altri elementi della tecnica psicoanalitica, come un riconoscere che sia necessario un dialogo aperto in un complesso gioco di squadra tra concetti e funzioni. Possiamo parlare intorno alla interpretazione, siamo costretti a stare nei pressi, sia prima che dopo, l’interpretare fa parte di un processo complesso che riguarda più fattori che devono tenere conto di quel paziente, di quell’ analista, in quella fase del lavoro terapeutico 

Da pietra angolare dell’edificio teorico psicoanalitico, il campo dell’interpretazione nella psicoanalisi contemporanea, assume sempre di più una dimensione dialettica. Non è più lo strumento principe del fare psicoanalitico, non è la punta di diamante che scardina le difese avversarie e permette di affiorare e far emergere i processi latenti del paziente, non basta dare un nome a questi significati e poterli condividere semplicemente nella relazione terapeutica. La funzione interpretante dell’analista, rivista, ampliata, piegata differentemente a seconda delle evoluzioni teoriche del pensiero freudiano e post freudiano, fatica a mantenere una sua centralità nel lavoro clinico. 

Nel tempo, confrontandosi con concetti come transfert, controtransfert, campo analitico, sogno, setting, persona del terapeuta, l’interpretazione ha dovuto cedere il passo è diventata comprimaria e non più protagonista della scena. Sotto l’incalzare delle nuove psicopatologie (pensiamo ai disturbi borderline e narcisistici, allo studio delle dinamiche delle coppie e delle famiglie, dei gruppi, all’importanza data ai disturbi dell’infanzia e dall’ adolescenza), la vecchia cassetta degli attrezzi psicoanalitica si è dovuta rimodernare. 

Siamo in un periodo storico in cui si parla dell’estensione del metodo per dire che dobbiamo predisporre e teorizzare nuovi dispositivi analizzanti e di conseguenza la nostra generazione si trova nella appassionante condizione di confrontare le vecchie acquisizioni psicoanalitiche con quelle che ci parlano delle psicopatologie della nostra contemporaneità. Tutto questo produce un confronto laico con le diverse teorie sulla clinica e uno scambio serrato tra i modelli psicoanalitici. Anche i vecchi concetti, come l’interpretazione, sono sotto esame e vanno ricalibrati alla luce dei modelli teorici che includono nuove concezioni su come si genera inconscio nei contesti umani (Kaes), una estensione dell’orizzonte psicoanalitico che poi comporta delle ricadute teoriche e pratiche nel setting terapeutico duale.

In questa direzione nel nostro periodo storico ci sono molta attenzione e letteratura su altri argomenti come il concetto di setting e setting interno, di campo bipersonale e di come funziona il terapeuta inteso non solo come produttore di controtransfert ma come persona che viene continuamente sollecitato, nei casi difficili, a manifestare la sua “presenza” (De Martino), come un testimone che diventa garante dell’esistere e della realtà psichica del paziente. Ormai c’è accordo della necessità di lavorare, nelle psicoterapie psicodinamiche su due livelli di conoscenza, due tipi di memoria e due tipi di rappresentazioni: uno esplicito (dichiarativo) e l’altro implicito (procedurale). Solo cosi possiamo raggiungere stati profondi, i cosiddetti stati primitivi della mente con le relative difese di sopravvivenza psichica.  

Ma una volta accettata la pluralità delle teorie psicoanalitiche e alla luce dei nuovi paradigmi psicopatologici, la questione che siamo costretti ad affrontare è come avvengono nel nostro operato i processi di cambiamento, quali sono le direzioni in cui si depositano le esperienze che producono nuovo tessuto psichico, una neo esperienza condivisa che produce altri modi di esistere psichicamente e di pensare. Ci troviamo lontani dall’inconscio dinamico rimosso basato sull’origine psicosessuale. Ci inoltriamo in un territorio che apre importanti prospettive per la cultura psicoanalitica in cui emerge con forza l’intreccio tra l’intrapsichico e l’intersoggettivo (Bolognini), come il vettore principale in cui si attualizza lo psichismo individuale.

Quindi abbiamo bisogno di qualcosa in più dell’interpretazione, siamo costretti a ipotizzare come l’azione terapeutica si profili nel tempo e come si possa generare un reale cambiamento; concetti come “momenti di incontro “ (Boston group), relazione reale e autenticità si propongono come nuove linee di ricerca che hanno però come naturale ricaduta, la rivisitazione di vecchi costrutti psicoanalitici. Si tratta di punti di vista che valorizzano la dimensione interattiva della coppia terapeutica e che rimandano continuamente a come funziona la regolazione reciproca e come soprattutto interloquiscono le polarità asimmetria-simmetria sia nella relazione reale con il paziente sia nella mente del terapeuta. Centrale diventa il monitoraggio del clima terapeutico e di tutti quei fattori che contribuiscono alla negoziazione dell’incontro che produce nuove esperienze della realtà psichica. Ne consegue la necessità di affinare una teoria dell’azione terapeutica (in cui naturalmente c’è anche la possibilità dell’interpretazione), tesa a descrivere sia cosa cambia sia quali strategie sono più efficaci nel facilitare questi cambiamenti.

Ecco allora che gli apporti che provengono da campi limitrofi alla relazione (setting) duale, rappresentano un catalizzatore per pensare nuovi modelli teorici che tengono al centro il valore della soggettività dell’altro, nella coppia, nella famiglia, nei gruppi, nei contesti allargati (istituzioni), in tutte le fasi del ciclo vitale di ogni essere umano. L’altro non è solo oggetto passivo di colonizzazione, l’altro risponde, resiste, ripropone una differenza che non può essere soppressa. Questo scarto diventa un problema ma anche una grande opportunità per la conoscenza del mondo interiore e motore naturale di cambiamento personale. Si vede molto bene nel lavoro con le coppie in cui l’altro cura oppure fa ammalare e diventa un vettore di conoscenza del proprio psichismo, mette continuamente in crisi l’assetto narcisistico dell’altro. Così quando nel lavoro gruppale la dimensione e la funzione fraterna propone abbozzi identitari in cui potersi rispecchiare ed apprendere su qualcosa di nuovo che s’incontra per la prima volta. E ancora quando nella dimensione del setting familiare si può percorrere ed apprezzare dal vivo, spesso non senza dolore, lo spessore delle frontiere generazionale tra i membri della famiglia. 

Il tema riporta alla considerazione che se l’estensione del metodo è vera dovremmo aspettarci che nel tempo, alcuni concetti storici possano essere ripensati alla luce di nuovi punti di vista, rendendo necessaria una riformulazione delle basi teoriche su cui la psicoanalisi è stata fondata con delle conseguenti ricadute sul dispositivo di cura duale. L’estensione delle pratiche psicoanalitiche ci porta a considerare che esistono in contemporanea diversi universi, naturali e di cura, ognuno ha un suo specifico e ogni ambito produce storie ed inconsci propri (Kaes); se è così possiamo pensare che ci possano essere innumerevoli condizioni in cui l’essere umano ricerca qualcosa che manca sia nella direzione dell’affermazione personale che in quella della cura. In poche parole il tutto ci spinge a ricercare una modellistica in cui trovare posto all’eterogeneità e all’irriducibilità degli spazi psichici, una sorta di teoria generale dei dispositivi analizzanti (Roussillon) che tenga insieme la vecchia e la nuova cassetta degli attrezzi psicoanalitici. E sempre in questa direzione diventano centrali gli scambi tra i contesti, i transiti psichici, tutti i prodotti intermediari che veicolano materiali psichici in cerca di un contenitore in cui depositarsi; pensiamo alla necessità d’integrare setting di cura diversi nei casi difficili e al poter costruire un modo mentale e reale di tenerli insieme, in attesa che il paziente e il suo contesto possano introiettare quel modo di pensare e di sentire.

Tutto questo rappresenta la nuova frontiera, una conoscenza che porta disordine, rispetto ai vecchi canoni e sicurezze, ma anche grandi opportunità rispetto al nuovo e a quello che c’è ancora da scoprire. A partire da queste problematiche Anna Maria Nicolò svilupperà la sua riflessione sulle evoluzioni teoriche e sull’utilizzo clinico degli strumenti psicoanalitici, collegando le questioni tecniche alle sfide poste alla psicoanalisi dalla realtà contemporanea.  

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